Edilizia, persi 1200 posti dipendenti senza salario
BELLUNO. Milleduecento posti di lavoro persi dal 2008 ad oggi, circa una ottantina di imprese chiuse, con una riduzione del monte ore salari della Cassa edile provinciale del 20%. Imprese che non riescono a pagare gli stipendi ai propri lavoratori perché non ricevono i soldi dai committenti sia pubblici che privati, con grave rischio di chiusura. Lavoratori che fanno da cassa alle aziende. Appalti che sempre più spesso si fanno al massimo ribasso a scapito probabilmente della qualità del lavoro eseguito e della sicurezza per i lavoratori.
Un quadro preoccupante quello presentato ieri dal sindacato del comparto edile Fillea Cgil, Filca Cisl e Feneal, in cui non si esclude la possibilità di infiltrazioni mafiose e di trascurare la sicurezza nei cantieri.
Una situazione resa ancora più esplosiva dalla rottura del tavolo della trattativa tra le parti sociali e imprenditoriali per il rinnovo del contratto integrativo provinciale. «Il mondo dell'edilizia sta soffrendo», dicono Valerio Costa, segretario della Fillea, Edi Toigo della Filca e Valerio Zannin dellaFeneal, «però lo fa con meno clamore degli altri settori, forse perché il numero di dipendenti per azienda è più basso rispetto ad altri. E in questa situazione di crisi, il lavoro nero diventa un fatto concreto da combattere».
Per garantire meglio i lavoratori, i sindacati già un anno fa avevano attivato il tavolo della trattativa per il rinnovo dell'integrativo dove si chiedevano non solo l'aumento del 6% della paga base, ma anche garanzie per i lavoratori. «È un fatto gravissimo che il tavolo sia saltato, che non si sia trovato l'accordo su punti così importanti», dicono i tre sindacalisti.
Per questo le parti sociali nei prossimi giorni presenteranno la situazione ai dipendenti edili preparandosi a far sentire il dissenso per questo comportamento «lunatico», come l'ha definito Costa, degli imprenditori.
I sindacati promettono battaglia. «Ci prepariamo ad un autunno molto caldo, con mobilitazioni e assemblee. Parleremo con la Direzione territoriale del lavoro. Non lasceremo sfuggire più nulla, vigileremo che ogni punto del contratto nazionale venga applicato, faremo le pulci su ogni singola voce, chiederemo spiegazioni su ogni singola richiesta di cassa integrazione, non lasceremo scappare nulla», anticipano Toigo e Costa. «Rinnovare il contratto integrativo provinciale è importante visto che la luce alla fine del tunnel non si vede. Dobbiamo evitare che i lavoratori vengano sfruttati. C'è poi la questione pensionistica che non aiuta il settore: non è pensabile che una persona di 67 anni vada ancora nei cantieri».
Ma la rabbia per il mancato accordo dipende anche dal fatto che «nel contratto integrativo si parla di lavoro irregolare, di appalti troppo al ribasso, di sicurezza, di trasporti e trasferte. Discorsi importanti su cui però abbiamo trovato un'inspiegabile chiusura da parte dei datori di lavoro. Chiediamo maggiore trasparenza nel settore; per questo chiediamo la presenza del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale (Rlst) all'interno delle fabbriche», precisano Costa e Toigo, i quali spiegano che l'aumento del 6% della paga base significa «un più 0.30 euro all'ora e un più 2.20 euro al giorno che vanno commisurati in base ad alcuni criteri. Insomma, delle inezie che si possono garantire anche in tempo di crisi».
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