Edilizia, sono troppi gli infortuni nelle piccole imprese

La denuncia della Fillea Cgil: «Aumenta anche l’età media  degli infortunati. Serve più formazione per la sicurezza»

BELLUNO. Calano gli infortuni soprattutto mortali nell’edilizia in provincia di Belluno, a causa della crisi, ma aumenta l’età media delle persone che ne restano vittime. A dare le cifre di un fenomeno che preoccupa le parti sociali, è la Fillea Cgil provinciale.

«Malgrado non si riesca ad avere un quadro completo del fenomeno perché l’Inail registra solo gli incidenti nei cantieri di persone residenti nel luogo in cui stanno operando, e lo stesso Spisal non considera gli incidenti in itinere tra gli infortuni sul lavoro, negli ultimi cinque anni si sono registrati in provincia 1.300 infortuni, di cui 4 mortali. Un dato positivo, se non fosse che un tempo gli infortunati avevano tra i 35-45 anni, e ora invece tra i 50 e i 59. E questo grazie alla legge Fornero che, anche per queste professioni logoranti, ha previsto l’innalzamento dell’età pensionabile. Quindi, nei prossimi anni, dobbiamo purtroppo attenderci un incremento maggiore di questi numeri», precisa Marco Nardini, segretario della Fillea. Che aggiunge: «Ma il dato spaventoso che si è riscontrato è che il maggior numero di incidenti si registra nelle piccole imprese con 1-3 dipendenti. Nel 2016, infatti, nel Bellunese, in queste piccole realtà gli infortuni sono stati 921, contro i 78 delle imprese con 9 o più addetti. Questo significa che “piccolo” non equivale sempre a bello, anzi qui diventa pericoloso. E ciò perché in queste aziende la formazione sulla sicurezza, spesso, non viene fatta».

Per contro, il sindacato denuncia come negli anni sia salito il numero delle malattie professionali. «Nel 2016 sono state 194 quelle legate all’edilizia; spesso i piccoli infortuni non vengono denunciati come tali, ma diventano malattie professionali», dice ancora Nardini. La maggior parte dei problemi fisici sono legati all’articolazione degli arti superiori ed inferiori, alle ernie discali fino alla silicosi. Inoltre, «non possiamo dimenticare che gli addetti dell’edilizia hanno sulle spalle orari di lavoro massacranti: tra trasferta, lavoro e pausa pranzo un edile resta fuori casa 13 ore al giorno. Troppo».

«Se gli infortuni calano», ragiona ancora Nardini, «dipende anche dal fatto che sempre di più oggi si tende ad inquadrare con contratti diversi chi lavora nei cantieri: dal contratto metalmeccanico a quello del legno o lapideo, fino a quello agricolo e del commercio. Questo significa che molti infortuni ci sfuggono, mentre i datori di lavoro guadagnano fino a 3.500 euro all’anno con questi contratti tra contributi, Cassa edile e Inail. Un risparmio non da poco. Mancano anche ispettori del lavoro e dello Spisal. Tutti questi fattori insieme, ci preoccupano anche in vista delle opere per i Mondiali di Cortina: non vorremmo che quella che dovrebbe essere un’opportunità di lavoro, si trasformasse in un bollettino di guerra».

«Per questo dobbiamo puntare sulla prevenzione e sulla formazione alla sicurezza, perché diventino obbligatorie e fatte da enti certificati come la Scuola edile», sottolinea Paola Tegner della Fillea che rilancia il ruolo dell’ente bilaterale nell’organizzazione di programmi di formazione per la sicurezza, mentre il sindacalista Sebastiano Grosselle rivendica la necessità del rinnovo del contratto «scaduto da un anno, dove chiediamo sia istituito un unico contratto di cantiere per uniformare chi opera nel settore, dando così maggiore sicurezza ai lavoratori».

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