Elezioni: Forno di Zoldo, sei candidati in cerca di un futuro

Nella patria dei gelatieri emigrare non basta più e il lavoro non c'è
FORNO DI ZOLDO.
Dicono che, ai giorni nostri, fare il sindaco sia una fregatura: tanto impegno e tante responsabilità in cambio di pochi euro. E' quasi tutto vero, ma allora perché in un paesino di montagna come Forno di Zoldo ci sono addirittura sei candidati a sindaco?

«Si vede che ancora non hanno provato», dice il signor Pierpaolo, appoggiato al suo tabià, dopo una lunga pausa di riflessione. E in effetti ha ragione, perché tra i sei sfidanti nessuno ha già un'esperienza consolidata. C'è chi ci ha provato, come Pietro Battistin, candidato per la sesta volta, o Milly Fontanella, che trent'anni fa fu assessore alla cultura, ma si è dimessa dopo due anni e mezzo.

Forno di Zoldo ha circa 2.500 abitanti sparsi in 24 frazioni: la più lontana e disabitata è Mezzocanale, 9 chilometri dal capoluogo al confine con Longarone, dove c'è solo un ristorante, ma anche per arrivare a Dont e Fornesighe bisogna percorrere 4 o 5 chilometri in quota. Tutto attorno incombono ripide montagne: il Pramper, il gruppo del San Sebastiano, le cime di Mezzodì, ma la vista è rapita dal Bosconero che domina il paesaggio a sud del centro del paese, tagliato dal torrente Maè.

Prima della guerra Forno aveva seimila abitanti, otto alberghi e un proliferare di attività, soprattutto legate al ferro e alla produzione di chiodi. Anzi, fino all'inizio del secolo scorso, Forno di Zoldo era il centro per eccellenza della fabbricazione di chiodi, tanto che di recente l'amministrazione comunale ha voluto creare un museo dedicato a questa antica e preziosa tradizione.

Poi tutto è cambiato, ma gli zoldani hanno saputo inventare una nuova professione che li ha resi famosi in ogni angolo di mondo: l'arte del gelato artigianale. I paesani hanno fatto fagotto e sono andati a colonizzare i continenti, anche se la maggior parte di loro ha scelto la "vicina" Germania.

«Ma adesso sono in crisi anche i gelatieri», spiegano Marietta e Giuseppe mentre sistemano i fiori del giardino. La tendenza, infatti, si è invertita negli ultimi anni e gli emigranti sono diminuiti. Se fino a una decina d'anni fa l'80% degli zoldani si trasferiva all'estero per sei mesi, oggi i gelatieri sono scesi al 60% e la loro stagione si è allungata. La concorrenza e la crisi hanno abbassato i margini di guadagno ed è sempre meno la gente che inizia questa attività.

Da un certo punto di vista è positivo, perchè gli zoldani restano in paese e c'è anche chi torna, ma in realtà la Valle si trova in un momento cruciale per la propria esistenza: se sarà capace di creare posti di lavoro e buoni motivi per abitare in Zoldo il paese sopravviverà, altrimenti invecchiamento e spopolamento sono l'unica prospettiva realistica.

«Vorremmo cose da fare per noi giovani», dicono Thomas e Larissa di Rocchette, 14 anni appena, «ma quando saremo grandi ce ne andremo via». Sembra che ogni anno siano 6 o 7 le famiglie che se ne vanno.

Negli ultimi dieci anni il paese ha visto chiudere 13 attività commerciali e i turisti sono sempre meno e sempre più frettolosi. Si incolonnano lungo la strada principale per raggiungere le piste di Zoldo Alto (a Forno c'è solo un anello per lo sci di fondo a Campo) e poi tornare di corsa a casa. Il turismo non è mai decollato davvero: ci sono due alberghi, uno in costruzione e una locanda, ma in compenso c'è una marea di case vuote, seconde case che portano ben poco indotto. «E non si sa dove mangiare», si lamentano tre rappresentanti di passaggio.

Dulcis in fundo la viabilità. Da Longarone a Forno ci sono 18 chilometri di curve: da una parte la roccia, dall'altra lo strapiombo. Negli anni passati le frane hanno isolato spesso la valle, a volte per mesi, costringendo gli abitanti a fare il passo Duran o addirittura il passo Cibiana per andare in città e gli studenti ad alzarsi alle 5 del mattino.

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