Elisa, prima dentista della valle fodoma: «Qui siamo in pochi ma non si è mai soli»
ARABBA. Da Cherz si torna con un palloncino in regalo. Camilla compie tre anni e quando si sveglia dopo il riposino pomeridiano è piena di adrenalina: salta, gioca, non sta ferma un attimo. All’inizio è restia a privarsi di uno degli addobbi, ma poi acconsente. Prima che compaia nella stanza, la mamma, Elisa, ti mette alla prova. «Adesso dimmi a chi assomiglia».
Davanti a quei riccioli biondi le si può mentire? Ma Elisa Calì, 39 anni, padovana di origine, dal 2015 prima dentista della comunità fodoma, ha una buona dose di autoironia e accetta il verdetto anche perché lo dice apertamente quello che spera per la sua bambina. «Sai?», dice. «Da quando è nata mi capita di fare alcune riflessioni: sono contenta che il suo punto di partenza, il luogo in cui è nata sia qui, in un territorio con queste caratteristiche. Mi rasserena l’idea che possa ricevere salute e benessere da questa terra e possa far parte di questa comunità. Quando sarà grande andrà per la sua strada e farà le sue scelte, ma lo farà con una base di ricordi, legami e valori che io credo sia molto importante».
Elisa parla con cognizione di causa. Conosce la realtà socio-culturale di Livinallongo e di Arabba da quando era piccola. «I miei genitori hanno una casa ad Arabba», racconta, «e così venivamo sempre su da Padova per le vacanze estive e invernali. Poi, quando avevo 18 anni, a uno dei tendoni delle sagre estive ho conosciuto Mauro che, nel 2013, sarebbe diventato mio marito. Io poi ho fatto il mio percorso di studi e siamo sempre stati assieme, ci vedevamo i fine settimana, durante le vacanze. Quando abbiamo deciso di sposarci, però, si è trattato di scegliere e lui era più vincolato sentimentalmente al luogo di origine. Questo tratto della gente di Fodom a me è sempre piaciuto».
E così Elisa saluta Padova e si arrampica fino ai 1650 metri di Cherz, una quarantina di abitanti, uno dei tanti villaggi sparsi del comune di Livinallongo del Col di Lana dove c’è la casa di famiglia del marito. «Io sentivo e sento tuttora di avere la mia identità», dice, «ma questa realtà in cui ho deciso di trasferirmi mi ha accolta in una maniera davvero inaspettata».
Lo ha sperimentato nel concreto, quando si è trattato di riuscire a dare continuità alla sua professione che aveva iniziato a Padova dopo l’università. «Volevo fare qualcosa nell’ambito medico», ricorda, «ho provato il test per medicina e odontoiatria, è andato e mi è piaciuto molto. Mi sono specializzata e in ortodonzia e dopo la laurea ho iniziato a lavorare come consulente a Padova. Una volta arrivata a Cherz, volevo avere un’attività vicina a mio marito e l’unico modo era quello di mettere su uno studio in proprio. Mi sono buttata ed è andata».
Oltre alla sua determinazione, fondamentale è stato il sostegno della gente. «Nonostante fossi l’ultima arrivata, la comunità mi è stata di grande aiuto, a partire dal parroco di allora, don Dario Fontana, che, ancora quando stavamo facendo il corso pre-matrimoniale, mi mise la pulce nell’orecchio dicendomi che al centro servizi di Arabba c’era la sala parrocchiale che veniva utilizzata poco. E poi devo dire grazie ai sindaci Ugo Ruaz prima e Leandro Grones dopo che mi hanno supportato. Qualsiasi richiesta io abbia fatto, non mi hanno mai detto “arrangiati”, ma mi hanno sempre dato il sostegno che era nelle loro possibilità. Per ultima, ma di certo non meno importante, è stata la risposta delle persone che mi hanno dato la loro fiducia».
Elisa Calì, col sangue per metà siciliano, è la prima dentista della comunità fodoma, ma non ha alcuna voglia di sbandierarlo o esibirlo. «Non mi sento di aver fatto nulla di straordinario», dice, «sono semplicemente contenta di lavorare vicino alla mia famiglia e di vedere che il servizio dato è apprezzato».
Prima, per andare dal dentista la gente del territorio poteva scegliere se valicare il Campolongo e arrivare in Badia o scendere fino a Caprile. Elisa ha contribuito a ridurre le distanze. Cosa che, in una valle lontana dai grossi centri e distribuita in varie frazioni anche a quote elevate, non è secondaria. «Le distanze ci sono», sottolinea Elisa, «ma non sono insormontabili: prima della nascita di mia figlia scendevo una volta a settimana in pianura, dove ho mantenuto collaborazioni perché penso occorra sempre continuare a guardare fuori, ora lo faccio ogni quindici giorni. Al contrario fra i collaboratori del mio studio, specializzati in vari ambiti, ce n’è anche uno che sale ogni settimana da Belluno».
Elisa non nega che la vita a 1650 metri possa presentare delle difficoltà e per questo invita quanti avessero intenzione di trasferirvisi a fare tutte le valutazioni. Invita anche, però, a mettere tutto sui piatti della bilancia. «Il luogo presenta delle criticità, è vero, ma qui hanno trovato il modo di porvi rimedio a partire dalla costante pulizia delle strade in occasione delle nevicate. A me della città mancano le amicizie, che cerco comunque di coltivare anche a distanza perché rappresentano la mia storia. Per il resto qui non manca niente. A Cherz c’è un paesaggio stupendo e luoghi meravigliosi da raggiungere a piedi in poco tempo. Suggerisco che la strada che porta alla malga è l’ottimale per addormentare i bambini: quando mia figlia era più piccola la percorrevo tre volte al giorno. Nella casa qua sotto ci sono vari bambini e anche in quella appena sopra: Camilla non è sola, ma gioca con tutti. Basta andare in piazza e si trovano. Non hanno bisogno che qualcuno gli crei un punto di incontro come avviene in città. Abitassimo nella casa di Padova dove sono cresciuta, non credo che mia figlia avrebbe la stessa compagnia. Inoltre mi sento di dire che qui hai più tempo per te, perché riesci a staccarti dalle cose di cui pensavi di avere bisogno».
Si prova a insistere, ma Elisa non smania di parlare più di tanto della normalità del suo lavoro se non per evidenziare che, sì, c’è spazio a Fodom anche per attività al di fuori dell’ambito strettamente turistico («penso agli estetisti, ai fisioterapisti, ai commercialisti», dice). Ha invece ancora il desiderio di mettere in luce la straordinarietà della comunità in cui ha scelto di vivere. «In città», dice, «ci sono più persone, ma sei più solo. Qui, invece, sei connesso sia alla gente che al luogo. Ci sono legami stretti, gli abitanti si riconoscono nella cultura, nelle tradizioni, nell’essere ladini. È un elemento che si vede anche nei ragazzi: fanno il loro percorso di studi lontano da Fodom, ma molti poi vogliono tornare qui, dove i rapporti umani sono speciali e vanno oltre l’amicizia».
Se le chiedi quale sia la chiave per capire l’origine di questo attaccamento che a Livinallongo è più forte che altrove e che rappresenta anche un antidoto allo spopolamento, Elisa parla di famiglia. «Noto che la famiglia è un valore importantissimo», dice, «in città questi legami sono meno stretti: dove hai molte possibilità sociali forse finisci per trascurare i rapporti famigliari. La famiglia è una radice che, anche se andrai via, in molti casi ti riporterà a casa».
Pensa a Camilla che fra poco scenderà e giocherà coi palloncini. «Nel turbinio di una realtà globale che ti offre tante, troppe possibilità, se manca la famiglia e manca la collettività, manca la sostanza per fare le scelte».
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