En&En pensa in grande: quotazione in Borsa
Vascellari: «La vedo come public company»
Valentino Vascellari, presidente di Assindustria
BELLUNO. Assindustria punta sull’energia, e lo fa rafforzando En&En, la società che ha creato trasformandola da Srl a Spa. Confida il presidente degli industriali bellunesi, Valentino Vascellari: «La mia proposta è di quotarla in Borsa».
Presidente, adesso En&En ha 10 milioni di capitale sottoscritto da 81 soci oltre ad Assindustria stessa. Perché la Borsa? «Per aprirla ancora di più al mercato. La vedo sul modello di una public company».
Obiezione: c’è chi sostiene che nella public company ci sono tanti soci, ma poi, proprio per la frammentazione dell’azionariato, chi comanda è l’amministratore delegato o il presidente. «Non è così. Noi vogliamo una società espressione del mondo delle industrie bellunesi, e dei cittadini bellunesi. En&En è nata per garantire un accesso sicuro e conveniente all’energia per le nostre aziende. Ma vogliamo allargare il campo dei soci».
L’apertura alla Borsa implica che non tutti i nuovi soci saranno per forza bellunesi. «Faremo come ha fatto Ascopiave: si è quotata in Borsa e ha dato la preferenza ai residenti dei comuni che costituiscono il consorzio che comanda in Ascopiave». Come? «Con uno sconto di prezzo delle azioni. Faremo altrettanto con i residenti in provincia di Belluno».
Dieci milioni di euro sottoscritti, ma versati molti meno. Non sono pochi? «Abbiamo chiesto ai soci di versare solo quanto serviva finora. Ma abbiamo altri importanti progetti in mente, quindi servono capitali più significativi».
En&En opera sul mercato dell’energia. Prevalentemente idroelettrico, ovvero piccole e medie centraline. Anche il Bim Piave lo sta facendo. Vi si accusa di fare la concorrenza al pubblico. «Ma noi siamo assolutamente aperti alla collaborazione con il pubblico. Porto un esempio: a Vigo di Cadore abbiamo realizzato, attraverso En Piova, altra società promossa da Assindustria, una centralina in collaborazione con il Comune, è stata un’esperienza positiva che ha portato ritorni economici importanti alla parte pubblica. Noi abbiamo sempre dialogato, proposto, stipulato convenzioni. Ma l’importanza del privato va riconosciuta».
Dicono che sottraete ai comuni risorse e utili che potrebbero essere incamerati direttamente da loro. «Diciamo la verità: difficilmente gli enti pubblici riescono ad arrivare al risultato che si sono prefissi. Fa parte del loro Dna. Fino a qualche anno fa c’era un timore psicologico a parlare di idroelettrico, comprensibile in una provincia che ha subìto traumi come il Vajont. Anche gli enti locali lo volevano fare, però per 40 anni non ci sono riusciti. Neanche il loro consorzio. Noi ci siamo proposti come promotori, in collaborazione, non in contrapposizione, con gli enti locali». Ma a loro conviene? «Per questi interventi servono capitali enormi. Sono, come si dice capital intensive. Noi ricerchiamo la collaborazione: siamo interessati che ai nostri capitali si uniscano capitali pubblici».
Come En&En avete un progetto in corso a San Severo in provincia di Foggia. Una centrale termoelettrica, che ha suscitato forti polemiche. «La nostra scelta strategica è di promuovere iniziative solo da fonti rinnovabili in provincia di Belluno, da fonti tradizionali fuori. A Foggia siamo entrati attraverso Ascopiave che aveva una autorizzazione ministeriale a realizzare una centrale da 400 megaWatt. Andrà a metano, che, tra i combustibili fossili, è il meno inquinante. A San Severo abbiamo oggi una quota del 18 per cento. Prevediamo per noi una quota di produzione sufficiente a soddisfare l’intero fabbisogno industriale di energia del Bellunese».
Un bell’affare. Ma quanto costerà realizzare la centrale? «Stimiamo 250 milioni di euro di costi». E per questo siete in società con Atel, colosso svizzero dell’energia. «Atel è uno dei soci. Ma allargheremo a quattro: Atel, En&En e altre due importanti società elettriche». Avete dovuto fare i conti con forti opposizioni. Com’è finita? «Ha fatto opposizione solo un ente, la Provincia di Foggia, con un ricorso al Tar che è stato respinto, così come è stato respinto anche il ricorso al Consiglio di Stato. Si tenga conto che l’autorizzazione è ministeriale, non locale, e che anche di recente il ministero ha rinnovato la validità dell’autorizzazione».
Avevate un progetto nel termoelettrico anche a Portogruaro. Che non è decollato. Perché? «Perché il proprietario del terreno ha preferito puntare alla fine su una destinazione commerciale». Chi era il proprietario? «Ascopiave». Lo stesso che aveva l’autorizzazione per la centrale. Cosa verrà fatto alla fine sul quel terreno? «Un centro commerciale».
Torniamo all’idroelettrico. Altra accusa, che non riguarda solo voi, ma anche gli enti locali e il Bim: prosciugate gli ultimi torrenti di montagna dove resta un po’ di acqua... «Non è vero. Il progetto passa all’esame della commissione regionale Via, la valutazione dell’impatto ambientale. C’è una norma di legge che stabilisce il minimo deflusso vitale. Se un impianto non rispetta la legge, si commette un reato e chi lo fa si assume tutte le responsabilità».
En&En è nata per operare sulla produzione di energia in generale. Non dunque solo idroelettrico. Negli altri settori? «Le fonti rinnovabili sono molte, ma tutte difficili da sfruttare nella nostra provincia». Avete costituito un’altra società, Progetto Eolo Srl, insieme con il Comune di Farra d’Alpago. A che punto è? «Premetto che le condizioni per produrre energia eolica in misura significativa ed economicamente compatibile sono scarse. In Italia l’eolico si può fare più facilmente nel centro-sud. Tant’è vero che la pianura padana è famosa per le sue nebbie: se ci fosse vento non ci sarebbero».
E a Farra d’Alpago? «Lì pensiamo a un impianto nella zona meridionale del lago. Siamo alla fase di studio. Abbiamo collocato un anenometro elettronico che misurare l’intensità, la frequenza, la costanza dei venti». Progetto Eolo Srl ha una dotazione di soli 10 mila euro, metà En&En e metà Comune: non è poco per dire che ci credete veramente? «Non è vero. Abbiamo investito negli studi parecchie decine di migliaia di euro». Le altre fonti rinnovabili? «Difficili. Per il solare fotovoltaico ci vuole un’alta irradiazione e cielo senza nuvole. Il solare termico serve a fare acqua calda, non energia elettrica, qui da noi a fatica si fa riscaldamento. Il geotermico è per il risparmio dei consumi domestici. Il biogas conviene se ci sono grandi allevamenti. Quanto alle biomasse, abbiamo gli impianti più importanti del Triveneto, tra Perarolo e Ospitale». Ma la Sicet punta anche all’uso di olii. «Olii vegetali. Abbiamo presentato un progetto che si affiancherebbe alla produzione attuale a scarti legnosi. Anche con gli olii vegetali, come per biogas e biomasse, si emette Co2, ma è considerata zero perché la fonte è vegetale».
Poi ci sono i rifiuti solidi urbani. «C’è un impianto al Maserot. Ricordo che dal 31 dicembre scorso i rifiuti non sono più considerati una fonte rinnovabile». Nessuno pensa all’idrogeno? In provincia abbiamo grandi serbatoi di acqua. «L’idrogeno è un vettore, e per produrlo serve molta energia. Va prodotto, portato in un posto. Poi da lì le celle a combustibile vanno distribuite. L’Italia non ha oggi un surplus di energia per utilizzarla per generare un vettore che non è competitivo economicamente».
Resta l’idroelettrico, allora? «Già. La En&En è nata appunto per approvvigionarci di una materia prima di cui a Belluno non deteniamo il controllo. Qui produciamo tanta energia elettrica ma senza alcun vantaggio locale. Abbiamo perciò cercato di convolgere interessi e fondi delle industrie che traggono vantaggio da questo». Ma esiste almeno un piano energetico provinciale? «Era tra gli adempimenti previsti dalla legge del 1991. Siamo al 2007. Dovrebbe essere contenuto nel piano energetico regionale. Ma il piano regionale non c’è ancora. Siamo fermi agli studi».
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