Epidemia in caserma poi la morte a casa: oggi il risarcimento
FELTRE. Il caporale degli alpini Nicola Benetti, originario di Chiampo, provincia di Vicenza e in servizio nella caserma Zannettelli di Feltre, aveva 19 anni quando morì per una tracheo broncopolmonite di tipo virale. Era il 1990, oggi avrebbe 42 anni. E solo oggi, ventitré anni dopo, per i suoi familiari si sono aperte le porte di un risarcimento da parte dello Stato. Il Tar del Veneto due settimane fa ha annullato i provvedimenti con i quali il ministero della Difesa ha sempre respinto la richiesta di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della morte del militare. E questo nonostante il fatto che l’infezione fu contratta, senza alcun dubbio, in seguito ad una epidemia influenzale scoppiata nella caserma di Feltre nel gennaio del 1990. Proprio per cercare di sfuggire a quell’epidemia il caporale fu mandato, dal comandante della Zannettelli, in licenza breve a casa. Ed è a casa che morì, qualche giorno dopo. Il fatto che non si trovasse in caserma al momento del decesso ha generato un contenzioso infinito tra la famiglia dell’alpino e il ministero, con gli organi di quest’ultimo saldamente arroccati a una normativa secondo la quale la speciale elargizione di 50 milioni di lire doveva essere assegnata soltanto ai parenti dei militari morti in servizio.
Il braccio di ferro giudiziario ha avuto una svolta tredici giorni fa quando i giudici della prima sezione del Tar del Veneto hanno accolto il ricorso presentato da Francesco e Daniela Benetti, eredi di Nicola, attraverso l’avvocato di Schio Nicola Zampieri e così annullato i provvedimenti con i quali il ministero della Difesa ha sempre respinto la richiesta di elargizione presentata dai familiari il 13 giugno del 1994. La famiglia non avrà automaticamente i 50 milioni di lire previsti dall’articolo 6 della legge 308/81 (Norme in favore di militari di leva e di carriera infortunati o caduti in servizio e dei loro superstiti) ma il ministero adesso ha l’obbligo di riprendere in mano quella richiesta. E di valutare - come espressamente indicato dai giudici - il nesso tra l’epidemia influenzale scoppiata nella caserma, la licenza per malattia concessa al caporale e infine la morte di quest’ultimo, riconsiderando anche le carte prodotte dalla famiglia. In particolare i referti della commissione medica dell’ospedale militare di Padova, che il 5 aprile del 1991 aveva riconosciuto la morte come dipendente da causa di servizio. E quelli del Comitato per le pensioni privilegiate che con un parere del 2 marzo 1992 aveva dato lo stesso parere.
La battaglia legale al Tar si è giocata attorno a due leggi. La 308 del 1981, della quale si è detto e che nella sua prima stesura (vigente al momento del decesso) non prevedeva tra i casi di esclusione dall’elargizione di 50 milioni i militari in licenza (ma che in una elaborazione era stata corretta nell’articolo 1, escludendo chi non muore in servizio). E la legge 280 del 1991 che con una norma transitoria estende i benefici della legge 308 a tutti i familiari dei militari morti dal primo gennaio del 1969 in poi. L’elargizione - scrivono esplicitamente nella sentenza i giudici del Tar - doveva essere riconosciuta. Ci sono voluti ventitré anni, in questo caso più di una vita.(cric)
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