«Era lì per portare aiuti, era generoso»
BELLUNO. «Abbiamo appreso da un quotidiano bosniaco che Ismar era morto in Siria e che faceva parte di un gruppo di bosniaci che portava aiuti alla popolazione». Il vicepresidente del Centro islamico pontalpino Assalam, Mohamed Meraga e il suo collega Alì Lachihab vogliano fugare ogni nube che si possa essere addensata sul centro islamico dopo le misteriose circostanze della morte di Ismar. «Parlare di Ismar come un kamikaze significa vanificare i 13 anni di lavoro fatto come comunità islamica per integrarci nella società bellunese. Noi, della fine di Ismar, sappiamo quello che abbiamo letto, ma vogliamo capirne di più perché», ribadiscono, «nella nostra comunità non c’è spazio per chi ha idee “strane”. C’è un regolamento che va rispettato e chi non lo fa viene allontanato non solo dal Centro ma lo invitiamo ad andarsene anche dal Bellunese», dicono.
Meraga e Lachihab, come molti in questi giorni, descrivono Ismar come «una brava persona, sempre pronto ad aiutare gli altri. Quando qualche anno fa c’erano i profughi libici si è reso disponibile per accompagnarli dal medico o a fare i documenti. Quando c’era qualche raccolta per aiutare qualcuno lui si faceva avanti. Negli ultimi sei mesi, però, era più pensieroso, turbato, quando veniva a pregare andava via subito senza dire nulla. Abbiamo pensato fosse dovuto alla sua separazione dalla moglie».
Ismar si assentava spesso negli ultimi mesi e diceva di andare in Germania per trovare lavoro e in Bosnia. Che fosse in Siria nessuno lo sapeva. «Poi abbiamo visto la foto nel giornale di lui e altri bosniaci a terra in Siria». Ma la comunità islamica, ora vuole capire: «Dapprima dove è finito il figlio e ridarlo alla mamma con cui è giusto viva. Chiederemo ad altri sui connazionali di informarsi se è in Bosnia, poi vogliamo capire dalla moglie che cosa sa di questa vicenda». (p.d.a.)
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