Estate thriller per i rifugi senz’acqua né personale: «Non ci si può più improvvisare»

Le ultime precipitazioni non risolvono la carenza idrica: in quota falde decisamente asciutte. Già lo scorso anno alcune strutture avevano dovuto chiudere perché al secco
Francesco Dal Mas

PEDAVENA. I rifugisti si ripensano per l’estate. Dopo due stagioni a singhiozzo, causa la pandemia, in quota dovrebbe ritornare il pieno: delle presenze e, quindi, dell’attività. I 90 rifugi della provincia di Belluno, del Cai o privati, ed i 150 del Veneto, sono pronti?

«Noi sì, il contesto purtroppo no – risponde Mario Fiorentini, gestore del “Città di Fiume”, e presidente dell’Agrav, l’associazione regionale dei settori -. Anzitutto mancherà l’acqua. E, probabilmente, mancherà anche il personale. Con l’aggiunta che quello recuperabile non avrà competenze per operare in un ambiente di montagna».
Andiamo con ordine.

La prima neve di primavera vede a Ra Valles circa un metro di neve, 135 sui Monti Alti Ornella, 110 sopra Alleghe, a Col dei Baldi, ma pochi centimetri in valle. «Ed è tutta neve che al primo sole scomparirà. Il fatto è che non piove nelle quantità attese dall’autunno – precisa Fiorentini – e che con le scarse precipitazioni di neve, le sorgenti e le falde andranno presto all’esaurimento».
Formentini ricorda che già l’anno scorso, ed anche quello precedente, alcuni rifugi hanno dovuto anticipare la chiusura perché all’asciutto, pur avendo razionato l’acqua tutta l’estate.

Il Rifugio Scarpa, sulle montagne di Frassenè, ha dovuto interrompere le aperture perché al secco. «La neve appena caduta non è sufficiente a ridarci la risorsa idrica di cui abbiamo bisogno. Quindi l’estate prossima l’avremo dura».

A Pedavena, l’Agrav farà il punto della situazione in una giornata di lavori che proseguirà per tutta la giornata, al termine di un corso di formazione che si è articolato in tre date in cui i gestori si sono chiesti come essere operatori turistici d’alta quota. Durante il workshop del mattino (la sede è la birreria), i gestori, accompagnati dagli esperti di Etifor getteranno le basi per la costruzione di una “Carta dei servizi per i rifugi alpini del Veneto”. Carta che presuppone una maggiore professionalità dei collaboratori, che sono almeno cinquecento in Veneto.

«Non troviamo cuochi, camerieri, persone tutto fare – conferma Fiorentini – e quando le troviamo ignorano che operare in un rifugio è tutto diverso rispetto al ristorante o all’albergo. Ci vuole un supplemento di formazione specifica».
Se gestisci un rifugio che dista quattro ore di cammino dal fondovalle – esemplifica il presidente di Agrav - è evidente che devi saperti arrangiare.

«Tuttavia la vera competenza risiede nella capacità di gestire le situazioni di crisi, gli imprevisti, non necessariamente nella capacità di risolvere direttamente il problema dal punto di vista tecnico. Non bisogna improvvisarsi tuttologi ma saper gestire la transizione tra quando si presenta il problema e quando le condizioni consentono di risolverlo definitivamente. Per questo è importante la formazione ma lo è altrettanto l’esperienza, come in tutti i lavori: la scuola, i corsi di formazione, ti possono fornire le chiavi, saperle utilizzare richiede pratica».
Il cameriere non può non essere anche guida escursionistica, saper indirizzare, quanto meno conoscere l’ambiente in cui opera. Non può non saper informare sul meteo, sui pericoli che la montagna presenta. Al cameriere o al barista si chiedono consigli per l’alimentazione, come alleggerire i dolori muscolari. Invece accade che chi sale per la prima volta a lavorare in rifugio non sa che le priorità cambiano improvvisamente e richiedono una risposta non da parte del singolo ma di tutta la squadra. —
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