Falcade. Dallo chef-agricoltore nasce la “Piccola Baita”

Fabrizio Pescosta cura l’azienda, l’agriturismo e vuole dar vita a una vera fattoria. «I progetti? Un parco tematico per famiglie e l’allevamento biologico dei suini»

Falcade

Ereditare un mestiere dopo quattro generazioni non sempre risponde a una vocazione, non subito almeno. Il 41enne sappadino Fabrizio Pescosta l’ha capito in un secondo momento, dopo che, per ragioni personali, aveva deciso momentaneamente di lasciare quella strada già tracciata. E così, quando è tornato a percorrerla, lo ha fatto con profonda consapevolezza, non solo per portare avanti l’azienda agricola di famiglia, ma anche per contribuire alla conservazione del territorio. In questo lo aiuta molto anche la moglie Ilaria Iannello, nativa romana, mentre il fratello Nicola collabora nella gestione autonoma di malga Valles Alto, dove Fabrizio porta le vacche a monticare nei mesi più caldi.

Lei però non è contadino, ma cuoco.

«Sì è vero, mi sono diplomato all’istituto alberghiero di Falcade, ma dal momento che la mia famiglia gestisce malghe da quattro generazioni, siamo riusciti a coniugare la mia formazione con la loro attività. L’agriturismo “Piccola Baita” è stato aperto dai miei genitori a Falcade nel 1997 per declinare l’allevamento in chiave gastronomica. Negli anni abbiamo fatto assieme diversi lavori di ampliamento e ristrutturazione dello stabile costruendo il laboratorio di trasformazione, aggiungendo 11 camere e 2 suite e perfino un centro benessere, per coccolare i clienti dall’inizio alla fine. Vogliamo dare una sensazione di familiarità, oltre che trasmettere la naturalità dei nostri prodotti, ecco perché il nostro menù segue il più possibile la stagionalità delle materie prime».


Quali sono le idee per il futuro?

«Ci sono due progetti, uno in fase di attuazione e l’altro al momento sospeso. Il primo prevede la realizzazione di un parco tematico per famiglie dove mostrare gli animali, ma anche come viene fatto il formaggio, come sono allattati i vitellini, dove nasce l’uovo, un’idea pensata non solo per i figli ma anche per i genitori, che ci chiedono continuamente di poter visitare l’azienda. Sono due, tre estati che organizziamo iniziative per provare a mungere una vacca o vedere come si fa il formaggio, ma ci siamo accorti che non era sufficiente. Così abbiamo comprato nuovi terreni che stiamo sistemando, dove costruiremo anche una piccola fattoria. Il secondo progetto è più ambizioso, ovvero convertire il nostro allevamento di suini in biologico, il primo in provincia di Belluno: noi saremmo pronti perché la qualità dei nostri mangimi è alta e abbiamo la possibilità di far vivere i maiali allo stato brado per gran parte dell’anno, il problema è che anche il macello dovrebbe essere certificato e in provincia quelli di Feltre (comunale) e di Santa Giustina (privato) non hanno i numeri per iniziare la conversione assieme a noi. Vedremo».

Anche il vostro agriturismo al momento è chiuso per colpa del Coronavirus.

«In realtà abbiamo deciso di aderire alla campagna nazionale di Coldiretti “Casa amica” ancora prima dell’ultimo decreto #iorestoacasa, chiudendo volontariamente la nostra attività ricettiva per due settimane. Io faccio anche parte del consiglio regionale degli agriturismi, quindi abbiamo un canale diretto con la Regione Veneto: nell’ultima riunione si è discusso anche della possibilità di preparare pasti da portare a domicilio perché lo prevede la normativa, ma nel nostro caso è un servizio troppo complesso da organizzare, quindi abbiamo deciso di attendere la riapertura normale delle attività».



Con l’emergenza Vaia avevate aderito anche all’iniziativa “Compra bellunese”.

«All’epoca sono nate molte le idee lanciate per cercare di aiutare economicamente le aziende agricole del territorio. Ora Coldiretti e Campagna Amica hanno lanciato lo slogan “Mangia italiano”, o “bellunese” nel nostro caso, per combattere il boicottaggio e far capire che il virus non si trasmette attraverso il cibo, ma anche quanto è importante sostenerci, tra di noi ma anche da parte dei consumatori. In questa fase dobbiamo essere un po’ nazionalisti e un po’ imprenditori di noi stessi, facendo capire al cliente che deve guardare un po’meno al prezzo e sempre più alla provenienza e alla qualità di quel che acquista».

Cosa pensa di questi progetti come “DDolomiti”?

«Sono tutti pregevoli, ma il vero problema non è unirci attorno a obiettivi comuni, quanto far cambiare testa delle persone. Quando ne parlo con mio padre mi racconta che il problema era sempre lo stesso e credo che un po’ faccia parte del nostro mondo agricolo, ma un po’ anche della nostra mentalità bellunese. Parlando con i colleghi in giro per l’Italia mi raccontano di quanto bene riescono a far funzionare questi progetti, ottenendo ottimi riscontri sulle vendite. Dobbiamo ricordarci che siamo stati tutti contadini, ma da quando abbiamo trovato il benessere ci siamo dimenticati delle nostre radici e facciamo sempre più fatica a ritrovarle». —
 

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