Falcade, rivivono a “Le Ziude” le coltivazioni di un tempo

FALCADE
Le cicute maggiori sono piante erbacee che possono crescere fino a 1800 metri sul livello del mare e che popolano anche i prati della nostra provincia. In dialetto falcadino si dice “le ziude”, che sono anche quelle piante che venivano sfilate dai covoni di fieno perché non venissero mangiate dalle vacche, le quali andavano sfamate proprio con quegli sfalci. Questo incarico spettava facilmente ai bambini, che fin da piccoli venivano chiamati ad aiutare i familiari sui campi, molti dei quali agricoltori o allevatori in proprio, per questioni di logico auto sostentamento.
Così quando Lorena Piccolin, 34 anni di Molino di Falcade, ha dovuto scegliere quale nome dare alla sua azienda agricola, ha pensato bene di scegliere quella parola che le ricorda l’infanzia, la tradizione, il passato delle sue terre, alle quali sta cercando di riavvicinarsi in modo sempre più incisivo.
Qual è l’avvenimento che le ha cambiato la vita?
«Sicuramente l’arrivo dei miei figli, che ora hanno tre e sei anni e che stiamo cercando di avvicinare sempre più al mio mestiere e al nostro stile di vita. Ho sempre fatto lavori occasionali e stagionali, anche come insegnante di sci di fondo, poi ho dovuto smettere per prendermi cura di loro assieme a mio marito Albino Basso, che è originario di Caviola. A quel punto, però, ci siamo chiesti se l’autoproduzione non potesse essere in qualche modo potenziata per garantirci una sussistenza anche economica, così ho scelto di avviarmi alla professione di agricoltrice fondando la mia azienda. I nonni di Albino aveva un po’ di campo, il nonno in particolare allevava le vacche nonostante facesse il maestro: qui era un po’ l’usanza di tutti i nuclei familiari, così ho deciso di recuperare un po’ quello stile di vita e di renderlo mio».
Come si struttura la sua azienda?
«Lavoro qualche terreno di proprietà assieme a qualche porzione in affitto. Sono ancora molto piccola, coltivo un ettaro a orticole, piccoli frutti come i ribes, piante officinali e canapa, che è stata integrata fin da subito sempre con la voglia di riscoprire le coltivazioni tradizionali, visto che veniva coltivata ampiamente nel Bellunese, soprattutto per la fibra e i semi. Di trasformati ho principalmente tisane e sciroppi assieme a fiori secchi, ma per farli mi affido a un laboratorio esterno. Non ho un punto vendita, partecipo ai mercatini di valle anche perché qui la stagione è molto corta. Ci sono altre iniziative a cui partecipo, come la Desmontegada. Sono disponibile alla consegna anche in Agordino, che può essere estesa ad altre zone se le quantità di prodotto in ordine sono sufficienti. Quando è esplosa la pandemia avevo finito quasi tutte le rimanenze, perciò non ha inciso molto sulla rendita».
Per cosa coltiva la canapa?
«Per infiorescenze, olio e farina. Il mercato è ancora abbastanza buono e vendo principalmente in provincia, più qualche cliente da fuori, il tutto attraverso negozi specializzati nel settore, che per me è quello trainante. Non ho aderito però alla rete dei produttori di cannabis lanciata qualche anno fa in Valbelluna, più che altro per la destinazione d’uso del prodotto raccolto. Con la mia azienda guardo più alla fetta di mercato legata alla terapia con cannabinoidi, mentre molti altri produttori bellunesi sono più impegnati in ambito alimentare».
Come viene visto questo tipo di coltivazione?
«Com’è già avvenuto in altre parti della provincia, chi non conosce il prodotto mi ha additata come produttrice di qualcosa di illecito. Anche io sono stata vittima di piccoli episodi di vandalismo, non so se per boicottaggio o da parte di chi era convinto di trovare un altro tipo di prodotto. Io per parte mia cerco di essere il più trasparente possibile con le autorità, tanto che ogni anno anche se non servirebbe più porto la dichiarazione di messa a dimora della canapa».
Le Ziude è certificata biologica?
«Non ancora, ma penso che in futuro farò richiesta. Fin dall’inizio evito più che posso il ricorso all’uso di prodotti chimici e cerco di coltivare il più possibile a mano. Ogni tanto utilizzo il trattore per le lavorazioni più complesse, ma il resto è fatto per impattare il meno possibile sulla terra che coltivo. Tutto quel che so l’ho appreso da alcuni studi mossi da interessi personali, integrati dalla condivisione di conoscenze con amici e familiari. Proprio da questa condivisione siamo venuti a conoscenza del progetto del gruppo DDolomiti e abbiamo deciso subito di prendervi parte, perché può dar voce ai coltivatori e ai produttori della montagna, che sicuramente da soli farebbero più fatica a farsi sentire». —
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