Fanchini: «Le donne che hanno un tumore diventano irriducibili guerriere»

Testimonianza forte della sciatrice che ce l’ha fatta. La psicologa Pravettoni: «A volte è più difficile curare “la testa” che il fisico» 

CORTINA. Storie al femminile, modelli, lezioni, esempi da seguire: sono quelle raccontate ieri sera a “Rifugio La Stampa”. Sul palco, ospiti di Luca Ubaldeschi (coordinatore editoriale degli eventi GNN, nonché direttore de “Il Secolo XIX”), sono salite Elena Fanchini, campionessa azzurro dello sci che ha sconfitto un tumore ed è tornata in pista; Gabriella Pravettoni, docente di psicologia cognitiva e delle decisioni all’Università statale di Milano; Maria Teresa Ferrari, presidente dell’associazione “La cura sono io”, che aiuta a portare un sorriso alle donne malate. . Con il suo inconfondibile sorriso, Fanchini ha raccontato al pubblico la sua esperienza. Iniziata il 18 gennaio 2018 quando comunicò ai suoi fans che non avrebbe partecipato alle Olimpiadi in Corea perché doveva curasi.

«Ho affrontato la malattia sempre con coraggio e determinazione», ha detto, «come ho fatto con i tanti infortuni che ho avuto in pista durante la mia carriera; mi sono sempre rialzata con grande forza di volontà, anche in questo caso ho fatto lo stesso. Sembra una frase fatta, ma è vero. Con grande forza d’animo, con l’obiettivo di tornare a sciare, ce l’ho messa tutta per guarire. Le donne colpite dal cancro sono tutte guerriere, sia chi ha la fortuna come me di sconfiggere la malattia e sia chi purtroppo non ce la fa. Io sono stata sempre molto positiva. Avevo il mio obiettivo che era di tornare in pista, non ho mai pensato al peggio. Ho avuto una visione un po’pazza come sono nella vita. Credo che questo mio modo di essere e il tanto allenamento fatto mi abbiano aiutato». Poi, tornata sugli sci, ha subìto un infortuno al ginocchio e oggi è ancora in convalescenza. Ma sempre con il sorriso. La gioia di vivere serve, come ha spiegato Pravettoni, nel calvario che devono affrontare i malati oncologici. «I pazienti non sono tutti bravi come Elena», ha detto la psicologa, «e Veronesi ce lo diceva sempre. Ammetteva che per lui era molto più semplice togliere un tumore dal corpo tramite un intervento chirurgico che toglierlo dalla mente dei pazienti». C’è un punto di partenza che è la diagnosi oncologica. «È uno tsunami per tutti», ha ammesso Pravettoni, «si perde il “delirio dell’immortalità” che tutti abbiamo; tutti pianifichiamo la nostra vita e la diagnosi ci fa capire che potrebbe non essere eterna». Ha portato la sua esperienza oncologica anche Ferrari, che ora gira l’Italia con il progetto “Il cuore in testa”, che crede nella bellezza e nella cura di sé come forze rigeneranti e vitali per migliorare la qualità della vita. Ieri mattina con le socie di Bagus ha portato i copricapi in Lagazuoi, ieri sera al Rifugio per sottolineare che le donne devono prendersi cura di sé sempre. —



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