Feltre, la bandiera in cima al municipio
FELTRE. «A guardarli non si direbbe che questi uomini e queste donne abbiano rischiato la vita per noi, invece è verissimo».
Così scrive il presidente del Comitato provinciale dell'Anpi Giovanni Perenzin, feltrino, nell'introduzione al volume “Ribelli per la libertà”, che viene presentato oggi al Carenzoni dopo la sfilata da piazza Isola al monumento dei caduti nell'ambito delle celebrazioni per il settantesimo della Liberazione.
È il 25 aprile e la Resistenza che arriva al cuore è quella vista e raccontata dalla gente comune, volontari della democrazia conquistata quel giorno e da mantenere, ricordando, confermando e rinnovando i valori.
Storie come quella del fonzasino Ruggero Sebben, che finì in carcere a Baldenich diciassette giorni per un biglietto satirico che plaudiva alla fine di Mussolini, sequestratogli a scuola sui banchi del Colotti. Ad Arten, ieri è stata inaugurata la mostra “La pietra di Arten” sul rastrellamento del Grappa, che riguarda in particolare i partigiani impiccati sul portone di villa Tonello-Zampiero (c'è una stele di pietra che ricorda i nomi).
Pedavena invece ospita stasera uno degli ultimi protagonisti della Resistenza Bellunese: Mario Bernardi, nome di battaglia “Radiosa Aurora”, che aderì alla lotta partigiana, come garibaldino, partecipando attivamente alle azioni della Brigata Gramsci sulle Vette Feltrine. Combatté sul Grappa, sfuggendo miracolosamente al terribile rastrellamento del settembre 1944 (260 furono i partigiani impiccati e fucilati, 250 i deportati).
Presenterà un ricordo di Edoardo De Bortoli, “Carducci”, il partigiano originario di Sovramonte, suo compagno d'arme, che si distinse in numerose operazioni della Resistenza Feltrina, trovando la morte l'1 maggio 1945 nella liberazione di Arsiè alla testa della Brigata Monte Grappa.
A Feltre la Resistenza partì da un nucleo autonomo di persone locali capeggiate dal colonnello Zancanaro per proseguire, alla sua morte, con la fusione con la Brigata Gramsci. La Liberazione è avvenuta il primo maggio, ma «le fonti su quello che è successo sono discordanti», racconta Giovanni Perenzin. «Gli americani sono arrivati alle 17-18 circa, quando ormai i tedeschi erano scappati e i partigiani erano entrati in città un'ora prima, issando la bandiera sul municipio. Il tutto è avvenuto col fatto che era stato dato l'ordine ai partigiani di bloccare i tedeschi a Quero, ma lì non ci sono riusciti per mancanza di esplosivi e le truppe hanno continuato a venire in su, finché non sono arrivati da Vittorio Veneto gli inglesi».
Erano momenti confusi, con la difficoltà di coordinarsi e di sapere anche chi era che comandava tra i tedeschi.
«Il servizio informativo c'era ma era abbastanza superficiale», spiega Perenzin. Nel post liberazione poi, c'è stata l'uccisione di due fascisti con un assalto alle prigioni, «un gesto che non ha incontrato il favore di nessuno e che ha lasciato con l'amaro in bocca», racconta Perenzin. Fu un episodio probabilmente di vendetta, legato all'impiccagione dei tre partigiani - Giordano “Caronte” Schenal, Luigi “Coppolo” Vendrame e Virginio “Vasca” Castellan - alla pensilina dell'allora Caffè Mimiola in largo Castaldi, dopo un rastrellamento casa per casa a Feltre, l'ammassamento di circa duemila persone nel cortile della Metallurgica e 114 deportati nel Campo di concentramento di Bolzano.
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