Feltre, niente limiti sulle antenneTelecom vince il ricorso
C’è un limite ai limiti. Quelli fissati dal comune di Feltre per i ripetitori della telefonia mobile non possono essere più restrittivi della normativa nazionale. Lo ha stabilito il Tar del Veneto, accogliendo il ricorso che la Telecom ha fatto contro il comune, che ora dovrà anche pagare le spese legali.
FELTRE.
C’è un limite ai limiti. Quelli fissati dal comune di Feltre per i ripetitori della telefonia mobile non possono essere più restrittivi della normativa nazionale. Lo ha stabilito il Tar del Veneto, accogliendo il ricorso che la Telecom ha fatto contro il comune di Feltre. Che ora sarà costretto a pagare le spese del processo e a rimettere mano al regolamento che disciplina la materia, giudicato parzialmente illegittimo.
Il caso ha origine nel 2007, quando la Telecom deposita in comune la richiesta di installazione per due stazioni radio base per la telefonia mobile, una a Faè di Feltre in via La Villa e una a Sarzan. Il regolamento comunale prevede che, per autorizzare i due impianti, si approvi una variante urbanistica. Il consiglio la vota il 10 maggio del 2008. Nel frattempo la richiesta della Telecom ottiene il via libera dell’Arpav e l’autorizzazione ambientale. Tutto sembra a posto, ma il regolamento comunale sulle antene - in vigore dal 2001, seconda amministrazione Vaccari - si mette di traverso e blocca tutto. L’articolo 6 del disciplinare, infatti, prevede che gli impianti «devono osservare una distanza minima pari all’altezza del palo dai confini di proprietà» e che «se l’altezza del palo è superiore a 27,5 metri, la distanza dev’essere pari a una volta e mezzo l’altezza stessa». Nel caso in questione, la distanza non poteva essere rispettata, per la presenza di terreni di proprietà privata. Quindi il comune chiede alla Telecom di stipulare una convenzione con i confinanti, i quali si dovrebbero impegnare a non costruire, dentro il loro terreno, per una fascia che consenta il rispetto delle distanze fissate dal regolamento comunale.
La Telecom a quel punto decide di ignorare le indicazioni del comune e le impugna davanti al Tar del Veneto, contestando anche il fatto che nel frattempo l’amministrazione ha fatto archiviare le pratiche edilizie rilasciate a favore dei due impianti.
Per l’azienda, la condotta dell’ente può essere rubricata come «eccesso di potere per incompetenza e illegimità manifesta», con particolare riferimento all’articolo 6 del regolamento, proprio quello che fissa le distanze minime. Un articolo che, stando al ricorso dei legali della Telecom, «introduce limiti di esposizione ai campi elettromagnetici diversi da quelli stabiliti con le norme statali, le quali vengono così, di fatto, illegittimamente eluse». Anche perché, insiste la Telecom, «le norme in materia di elettromagnetismo non contengono alcun riferimento ad una distanza o ad un’altezza minima o massima, cui deve tenersi conto ai fini della valutazione delle emissioni elettromagnetiche». Perciò, concludono i legali Telecom, «imporre la stipulazione di una convenzione con i vicini equivale a prescrivere una misura cautelativa ulteriore, rispetto a quelle fissate dalla disciplina nazionale: una soluzione illogica e viziata da incompetenza». Il ricorso approda al Tar che riconosce «la fondatezza delle censure sollevate», compresa quella con cui si contesta al comune la competenza di fissare limiti di esposizione ai campi elettromagnetici diversi da quelli stabiliti dallo Stato. Al comune è riconoscita la possibilità di dettare regole in materia di antenne per assicurare un corretto insediamento urbanistico, ma nulla di più. E dunque non la facoltà di fissare limiti più severi di quelli previsti dalla normativa nazionale. L’articolo 6 del regolamento comunale viene quindi considerato «illegittimo» e - dispone il Tar - «deve essere annullato». Annullata è anche la richiesta di convenzione fra Telecom e i confinanti. I due impianti saranno costruiti, senza necessità di ulteriori autorizzazioni. E il comune dovrà farsi carico delle spese legali della causa: seimila euro che la giunta ha già deliberato di pagare.
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