Feltrina impegnata in un dottorato a Hiroshima sull’agricoltura in montagna
Ci sono più somiglianze tra il Bellunese e certe aree del Giappone di quelle che si possono immaginare. Lo sa bene Simona Zollet, feltrina di 32 anni e dottoranda all’università di Hiroshima che dopo aver studiato Scienze e tecnologie per l’ambiente e la natura all’università di Udine ed essersi specializzata in Scienze ambientali all’università Ca’ Foscari a Venezia, è partita per il Sol Levante.
Ma il suo amore per l’Italia e per la sua terra sono tali che il dottorato in Sociologia rurale e cooperazione internazionale che la sta impegnando è uno studio comparativo tra Italia e Giappone sul tema dei “nuovi agricoltori” e del ritorno alla terra in zone di montagna, con riferimento all’agricoltura biologica e sostenibile e alle sue potenzialità per uno sviluppo rurale integrato.
LE INFLUENZE
«Quando ho iniziato l’università mi sono subito interessata di agricoltura biologica, sperimentando varie tecniche nell’orto con l’aiuto di mio papà». Ma il Bellunese, forse anche l’Italia, non erano luoghi pronti ad accoglierla: «I giovani se ne vanno per la mancanza di opportunità. Non mi piace sentire discorsi tipo “bisogna adattarsi a fare di tutto”: quando vivevo a Feltre ho fatto colloqui per fare la barista o la cameriera, ma la risposta è sempre stata che siccome non avevo esperienza, non ero adatta».
GLI STUDI
A Venezia viene scelta per far parte di un programma speciale sullo sviluppo sostenibile. Parte per la sua prima esperienza di sei mesi all’università di Hiroshima. Tornata a Venezia completa la specialistica con una tesi sull’avanzata del bosco all’interno del territorio del Parco delle Dolomiti bellunesi. Il dottorato fa parte del programma “Taoyaka Program” finanziato dal ministero dell’Istruzione giapponese come percorso di eccellenza.
LE IMPRESSIONI
«Credo che il biologico sia il futuro per il Bellunese. È difficile dire cosa possiamo fare a distanza per la nostra provincia, ma di una cosa sono sicura: fare esperienze in altri luoghi, in altri Paesi, allarga la mente ed espone le persone a nuove idee. È un altro dei motivi che mi ha convinta ad andare via. Restando sempre nello stesso posto la mente si fossilizza, mentre muoversi permette di vedere le cose con occhi nuovi».
Pur vivendo letteralmente dall’altra parte del mondo, «sento un legame fortissimo con la mia terra e ho a cuore le sorti della montagna, non soltanto Bellunese. In Giappone ho partecipato a molte attività dell’università di Hiroshima per studiare gli sforzi fatti per risollevare le sorti le piccole comunità rurali e montane».
LE SOMIGLIANZE
«Ci sono molte parti del Giappone che si stanno confrontando con gli stessi problemi del Bellunese e di tante altre aree montane d’Europa. L’abbandono delle comunità è un problema grave e difficile da risolvere. È fondamentale rivalutare un certo modo di vivere in montagna. Problemi come l’invecchiamento della popolazione, la mancanza di agricoltori e il conseguente abbandono del territorio, i danni da animali selvatici (cervi, cinghiali) che rendono ancora più difficile continuare l’attività agricola sono problemi sorprendentemente simili. Guardando i lati positivi, ho notato che in entrambi i territori c’è una tendenza al ritorno alla terra».
LE SOLUZIONI
«Nelle persone che intervisto per la mia ricerca non manca mai la volontà di mettersi in gioco nonostante il periodo economicamente difficile e i vari luoghi comuni che “di agricoltura non si vive”. La mia ricerca si concentra su aziende giovani per scelta, soprattutto quelle sorte da meno di dieci anni e destinate al biologico. Ci sono tanto entusiasmo e tante idee e questo dimostra le potenzialità che l’agricoltura biologica può avere. Ma anche qui l’incapacità di fare squadra e la burocrazia incidono molto in negativo».
Simona Zollet dà la sua ricetta per cambiare le sorti della montagna: «Le scelte dei singoli sono importanti, ma non bastano. Non basta dire “comprate più prodotti biologici” o “comprate più prodotti locali”. Ci si dovrebbe mobilitare oltre il semplice consumo. Puntare sul turismo dolce, il mantenimento del paesaggio tipico delle zone di montagna, la tutela dell’ambiente attraverso anche (e non solo) l’agricoltura biologica, le sinergie tra vari settori economici sono soluzioni buone per il Bellunese». –
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