Fermati dalla polizia nell’inferno americano
BELLUNO. Maratona di paura. La strage di Boston è stata vissuta sulla pelle e non alla Cnn da una numerosa e inizialmente festosa pattuglia di podisti bellunesi. Quando ci sono state le due esplosioni, in molti erano già arrivati al traguardo di Boylston street, accanto al piccolo polmone verde di piazza Copley. Ma un buon numero era ancora per strada e non ha neanche finito la marathon più stagionata del mondo. Mentre la tragica contabilità racconta di tre vittime e oltre 140 feriti, questi atleti più o meno competitivi stanno sistemando anche la tristezza nella valigia del ritorno. Il mattino dopo la tragedia, la colazione in uno dei tanti starbucks è un rito consumato in silenzio, nel ricordo di bambini e donne per terra, in una macchia di sangue e con le gambe da corsa offese. Anche per sempre.
«Stiamo tutti bene». L’agordino Marco Savio è uno dei due organizzatori delle Miglia di Agordo, insieme a Fiorendo Dalla Ca’. E nella capitale del Massachussets ha guidato un gruppo di una ventina di persone, che sta girando per i più importanti eventi del pianeta: «Stiamo tutti bene, anche se siamo inevitabilmente un po’ scossi e rattristati per quello che è successo. Stavo già cercando di raggiungere l’albergo con altri ragazzi, quando abbiamo sentito la prima esplosione e, quindi, per fortuna non ho vissuto questo momento da vicino. Alcuni, però, erano un po’ attardati e sono stati fermati al ventiseiesimo miglio. Non hanno portato a termine la fatica, anzi sono stati invitati a raggiungere una stradina laterale, dove erano stati sistemati i pulmini con le borse. Sono stati momenti di grande dolore e tristezza, perché le notizie della strage si sono diffuse in brevissimo tempo e, d’altronde, c’era poco da immaginare, con le scene che abbiamo dovuto vedere. Qualcuno l’ha scampata bella e chi ci ha messo sulle quattro ore e dieci minuti, si è ritrovato nel bel mezzo dell’inferno».
Fermato dai poliziotti. Attilio Bertagno è tra quelli che non sono arrivati a Copley square, non sono entrati in alcuna classifica: «Dopo un sottopassaggio, quando mancavano circa 700 metri all’arrivo, io e altri siamo stati bloccati da tre agenti di polizia, che con garbo, ma anche con fermezza ci hanno accompagnato in questa viuzza laterale, dove siamo rimasti per circa un’ora sotto i teloni, prima che arrivasse il materiale necessario a raggiungere l’hotel. Non ho proprio visto il traguardo, ma tutti abbiamo capito che c’erano state delle bombe non solo per il fumo che si alzava, ma anche per il frastuono delle sirene di polizia e vigili del fuoco e delle pale degli elicotteri in volo radente sopra le nostre teste. Una tragedia, davvero».
Grande disciplina. In mezzo a tanto dolore, la prima impressione è stata di compostezza da parte degli americani: «Non so cosa sarebbe successo da noi», riprende Savio, «quello che posso dire è che qui non ce n’è uno che non abbia seguito le indicazioni. In caso contrario, forse il bilancio sarebbe stato più grave».
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