Ferroli taglia gli integrativi sotto i colpi della crisi

Alano. Timori tra i 141 lavoratori costretti a rinunciare a 5.500 euro l’anno Apprensione per il nuovo piano industriale atteso entro la fine del mese
Di Paola Dall’anese

ALANO DI PIAVE. La crisi economica colpisce ancora in territorio bellunese e precisamente la Ferroli spa di Alano di Piave. La proprietà ha annunciato l’intenzione di recedere dalla contrattazione integrativa avviata ancora nel lontano 1976, a partire dal primo gennaio 2015, assicurando al contempo a lavoratori e sindacati la volontà di presentare un nuovo piano industriale entro la fine di ottobre. Una manovra che costerà ai 141 lavoratori 5.500 euro l’anno tra premi e maggiorazioni per notturni e straordinari.

I sindacati parlano di «atto grave che va a pesare ancora una volta sui lavoratori, con gravi risvolti sull’economia domestica del singolo. I lavoratori, infatti, sulla base di queste entrate hanno un mutuo o affrontato altri tipi di spesa». Perper questo hanno indetto lo sciopero degli straordinari come atto iniziale di un conflitto i cui termini saranno precisati dopo la presentazione del piano di rilancio.

La preoccupazione è altissima nella fabbrica dove si producono caldaie per il riscaldamento e il condizionamento. Il gruppo Ferroli, che ha sede in provincia di Verona, conta nei siti produttivi italiani circa 1200 addetti e in tutto il mondo 3.300. «La crisi mondiale, iniziata ancora nel 2008», scrive l’azienda a rsu e sindacato, «sta ormai mettendo a dura prova la tenuta aziendale e anche l’impianto della contrattazione integrativa non risulta più coerente con le attuali necessità di un mercato di settore in gravissima tensione, molto critico e altamente competitivo». Ma poi sottolinea, d’altro canto, la volontà «di continuare nel percorso di confronto tipico degli accordi aziendali di secondo livello, perché è necessario ripartire dal grave momento attuale per ridefinire delle modalità che rispecchino le esigenze dell’azienda e possano consentire ai lavoratori la migliore prospettiva possibile, anche occupazionale».

Una decisione che i lavoratori in parte temevano, visto che ultimamente i volumi produttivi nella fabbrica feltrina erano diminuiti, complice anche lo spostamento di alcune produzioni all’estero e alla concorrenza dei costi. «Nel 2000», dicono le rsu Antonio Garau (Fiom), Mauro Zulian e Maroc Nani (Fim), «producevamo circa 10 milioni di radiatori in acciaio, poi questi sono stati spostati in Turchia e la produzione è passata da 10 milioni a 2.5 milioni. Poi, da 220 dipendenti si è passati a 141, tramite la mobilità volontaria. Qui non si produce più in acciaio, ma pannelli solari, visto che i prodotti in alluminio sono stati trasferiti in Polonia. Ora i nostri mercati di riferimento sono l’Italia e l’Europa occidentale, mentre prima era tutto il mondo. Soltanto il radiatore elettrico ci ha permesso di avere un margine per andare avanti».

L’azienda, intanto, ha incaricato una società esterna di analizzare la situazione per stendere il piano industriale da presentare a fine ottobre. «Èpositivo che il gruppo voglia mantenere in piedi l’azienda e la contrattazione di secondo livello», dice Luca Zuccolotto, segretario della Fiom Cgil. «Attenderemo il piano e poi vedremo come muoverci». «La disdetta dei contratti integrativi interessa tutti gli stabilimenti», ribadisce Paolo Agnolazza della Fim Cisl, che in questi momenti di ansia, invita ad «attendere elementi più precisi».

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