«Fonderia a basso impatto»

La Sapa promette: useremo le migliori tecnologie esistenti. Il colosso svedese chiede fiducia in cambio del consolidamento dei posti di lavoro
FELTRE.
Il nuovo forno in realtà non era nuovo, ma di seconda mano e conteneva amianto. Quando la Sapa l'ha scoperto, ha dovuto stoccarlo sul retro dello stabilimento, in attesa di smaltirlo. La voce che girava da tempo in città era dunque attendibile, l'azienda l’ha confermata nella serata (giovedì, in sala Ocri) in cui ha presentato alla città il progetto di ampliamento che consentirà di triplicare il volume di produzione della fabbrica, dove si rifonde e si lavora l’alluminio. E proprio quest’ammissione, insieme ad una montagna di dubbi che i cittadini si portano appresso da anni, ha in qualche modo macchiato la corsa del piano di ampliamento del colosso svedese, il cui progetto per lo stabilimento cittadino è stato presentato in modo convincente, quasi come se non si trattasse di una fonderia ma di un atelier di moda, solo per citare una delle possibili destinazioni urbanistiche dell’area che da 68 anni è invece destinata a lavorazioni metallurgiche.


«Let's do it!».
Ovvero: facciamolo. E' lo slogan con cui il direttore dello stabilimento De Cet ha concluso la presentazione del progetto di ampliamento dello stabilimento, il cui obiettivo è «raggiungere un livello qualitativo d’eccellenza per fornire profilati ad alto valore aggiunto». Più volte il direttore ha battuto sul tasto del profitto, collegandolo all'esistenza dell’azienda e dunque, indirettamente, alla sorte dei 180 dipendenti che vi lavorano.


I numeri.
Il nuovo impianto sorgerà 350 metri a sud rispetto all’attuale e a viale Monte Grappa. Il nuovo forno (quello nuovo davvero, che l’azienda acquisterà) avrà una capacità di 160 tonnellate al giorno contro le 168 complessive dei forni attuali. Eppure la produzione aumenterà, perché si faranno più turni lavorativi settimanali (21 anziché 15): da 12 mila a 36 mila tonnellate all’anno. In prevalenza (per il 59 per cento) sarà lavorato alluminio bianco, ossia rottami «di alta qualità», senza verniciatura e dunque senza sostanze chimiche. Il resto della lavorazione riguarderà rottami di mercato (10 mila tonnellate, il 28 per cento) e materiali primari (12 per cento).


L'impatto ambientale.
Pur senza smentire che l’azienda oggi non ha filtri per i rilasci in atmosfera, De Cet ha ribadito che «le emissioni di polveri sottili sono di 16 microgrammi per metro cubo, dunque al di sotto del limite di trenta». E ha poi sottolineato che, grazie al ricorso alle migliori tecnologie disponibili, l'azienda in futuro ridurrà drasticamente il suo impatto: «Le polveri scenderanno ad un microgrammo, l’ossido di azoto sarà più che dimezzato. E così anche gli altri inquinanti». Sempre a sentire l'azienda, anche sotto il profilo del consumo energetico e di acqua il nuovo impianto migliorerà le performance. «Poiché ricicliamo alluminio, il nostro consumo è del 95 per cento inferiore rispetto a chi lo produce», ha spiegato De Cet. «Il nuovo forno userà meno della metà del gas attuale e ridurrà a meno di un terzo il consumo d’acqua».


La viabilità.
Oggi nello stabilimento di viale Monte Grappa entrano 1873 camion all'anno, ossia otto al giorno. In futuro saranno 3002, ossia 12,5 al giorno. La differenza c’è e si sentirà. «Ma il 70 per cento del traffico in futuro si muoverà sulla Valsugana e non in provincia», ha detto De Cet.


L’impatto sul paesaggio.
Ridotta per volere della soprintendenza la torre principale, quella di raffreddamento, che passa da 27 a 16 metri, restano i camini. «Ma dai quindici attuali passiamo a nove. Oggi ce ne sono due di diciotto metri e quattro di sedici. In futuro ne avremo uno da diciannove, uno da diciotto e due da tredici. Per giunta saranno nella parte sud dello stabilimento».


Il ruolo del comune.
All'architetto Dall'Asen, dirigente del settore urbanistica del comune, è toccato il compito di spiegare il ruolo del comune in questa partita. «Noi ci limitiamo ad autorizzare il progetto edilizio», ha chiarito. «Sapa ci ha chiesto un ampliamento per avere un'area di carico e scarico e di costruire una torre piezometrica: questi sono gli aspetti da valutare». Che il Pat - ossia il piano urbanistico - individui quell’area come strategica e per il terziario avanzato, non è poi così importante, almeno ora. «Finché c'è la Sapa», ha aggiunto Dall'Asen, «bisogna puntare a migliorare la qualità dell’insediamento. Se un giorno non ci sarà più, la zona sarà destinata a uffici o atelier di moda o stand».

Anche il percorso del progetto sembra ormai in discesa: c’è il sì della commissione provinciale, il sì di quella comunale all’ambiente e anche, in pratica, della soprintendenza che ha chiesto e ottenuto alcune modifiche. In sessanta giorni la Sapa può avere in tasca anche gli ultimi permessi.
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