Foreign fighters, annullata la condanna al reclutatore
Chi mandò in Siria Mesinovic e Karamaleski? Secondo la Cassazione fu l’imam di Sarajevo Bilal Bosnic a radicalizzarli e fare di loro due foreign fighters per conto dello Stato islamico. Non Ajhan Veapi, che ha ottenuto l’annullamento con rinvio della sentenza di condanna a quattro anni e otto mesi di reclusione in abbreviato pronunciata dalla Corte d’Assise e confermata dalla Corte d’Assise di Appello.
Il processo per arruolamento con finalità di terrorismo al 41enne di origine macedone, residente ad Azzano Decimo (Pordenone), è da rifare. E tutto fa immaginare che andrà a finire in maniera diversa. Secondo la Procura antiterrorismo, Veapi aveva concorso con Bosnic e lo sloveno Rok Zabvi (due anni, due mesi e 20 giorni) nell’arruolamento dell’imbianchino longaronese Mesinovic e dell’operaio di Chies, Karamaleski «per il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo, inducendoli ad andare in Siria e arruolarsi nell’esercito dell’associazione terroristica chiamata Isis per atti terroristici da realizzare sia all’interno del territorio siriano che in paesi occidentali».
I giudici hanno ritenuto provata la colpevolezza del consigliere del centro islamico di Pordenone: secondo loro aveva svolto un ruolo di tramite fra i due aspiranti combattenti e Bosnic, all’epoca imam in Bosnia, favorendo la loro radicalizzazione verso la jihad islamica anti Occidente e antisemita.
Il bosniaco Mesinovic era partito nel 2013 con il figlioletto Ismail Davud, avuto dalla compagna cubana Lidia Solano Herrera, mentre il macedone Karamaleski l’aveva seguito con la moglie Ajtena e tre bambine piccolissime. Non si sa che fine abbiamo fatto i familiari, di sicuro Mesinovic è deceduto in combattimento ad Aleppo e c’è tanto di fotografia del cadavere e non si sono avute più notizie certe di Karamaleski. A sentire i suoi avvocati in Corte d’Assise, Pecin e De Falco, è a sua volta morto, mentre stava facendo il guardiano del bottino di guerra, a Raqqa.
Il difensore di Veapi, avvocato Pietrobon, ha presentato il ricorso e scritto anche una memoria, evidenziando come il primo giugno 2013, in occasione della sua visita in Italia, Bosnic era stato accompagnato proprio da Veapi negli uffici della Digos di Pordenone per essere sottoposto a rilievi fotodattiloscopici utili alla sua identificazione. Se l’imputato avesse saputo di attività illecite e clandestine, è quasi sicuro che non si sarebbe mai prestato. Peraltro risulta che sia stato solo una volta in Bosnia, insieme al solo Mesinovic.
L’unica cosa che gli può essere imputata è di aver invitato Bosnic a Pordenone per alcuni sermoni, ma questo non può certo configurare il reato di arruolamento con finalità di terrorismo dei due combattenti bellunesi nella guerra santa siriana. —
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