Fu San Pietro di Cadore il paese con più deportati

BELLUNO. Quasi mille deportati, precisamente 983, dalla provincia di Belluno: partigiani (35%) e civili (65%). Un deportato bellunese su quattro proveniva dal Comelico. Sono i numeri della ricerca portata avanti da Isbrec e Comitato provinciale Anpi e presentata i occasione della Giornata della Memoria.
Uno studio partito ormai due anni fa. I risultati prodotti fino a questo momento sono stati presentati ieri sera all’Archivio di Stato di Belluno. «Si tratta di numeri suscettibili di ulteriori variazioni», precisa Enrico Bacchetti, direttore Isbrec, «dal momento che ci vorrà ancora parecchio lavoro prima di poter terminare lo studio».
Finora il dato emerso è quello che si diceva: 983 deportati dal territorio provinciale nei lager tedeschi, di cui 882 nati in provincia e un centinaio provenienti da altri territori: per esempio, bellunesi figli di emigranti, partigiani operanti nel Bellunese, militari che collaborarono alla Resistenza, persone arrestate al di fuori della provincia di Belluno, trasferite poi in Comelico e in Cadore per gli interrogatori e in seguito spostate nei lager. Sul totale, 104 erano donne.
«Quasi la totalità dei comuni, ben 61, furono interessati dalla deportazione», aggiunge Bacchetti, «alcuni in modo marginale (Livinallongo, San Vito, Colle Santa Lucia con un solo deportato, La Valle Agordina e Quero con 2), altri in modo sostanziale: 52 da Belluno, 38 da Tambre, 51 da Sedico, ben 107 da Feltre». Il peso più grosso della deportazione l’ha però sofferto San Pietro di Cadore, con 133 persone strappate ai loro cari e internate. «Il Comelico costituisce il 24% del totale», continua il direttore Isbrec, «il basso Feltrino il 23%, Valbelluna, Alpago e Longaronese (280 deportati) il 32%, il Cadore il 12%, l’Agordino il 7,29% (63 deportati). Lo Zoldano, con i tre deportati di Forno, pesa lo 0,35%». Sul totale, 341 deportati erano partigiani o individui connessi alla guerra di Liberazione. La fascia di età più interessata era tra i 20 e i 30 anni. «Le ragioni che connettono l’età alla deportazione sono da studiare», sottolinea Bacchetti, «ma molto probabilmente sono da ricondursi al fatto che l’obiettivo era stroncare la resistenza a partire dai più giovani».
Il progetto di Isbrec e Anpi, che è stato sostenuto dalla Regione Veneto, mira alla costruzione di un “Dizionario storico-biografico della deportazione nei comuni bellunesi”, con la compilazione di uno schedario. «Sono esclusi i militari», dice Bacchetti, che sta lavorando alla ricerca sulla deportazione con Andrea Mario e Agostino Amantia, «e i nomi degli ebrei stranieri (circa 200) che passarono per la provincia di Belluno prima di essere internati».
La ricerca è stata possibile grazie a un impegnativo lavoro di incrocio di dati. «Ci siamo avvalsi del “Libro dei deportati”, del volume “Uomini, donne e bambini nel lager di Bolzano”, dove c’era un campo di transito molto importante per capire le vicende della deportazione dal Bellunese», evidenzia Bacchetti. «Ma ci siamo basati anche su documenti locali, come “Venti mesi di dominazione tedesca” a cura di Emilio Da Re, il Fondo della Resistenza e quello dell’Anpi, i ruolini partigiani, archivi dei Comuni».
L’obiettivo non è produrre un mero elenco, ma costruire uno strumento nuovo, più ricco e articolato. «Siamo infatti riusciti a correggere, integrare e completare parecchie schede», mette in risalto il direttore Isbrec. «Ora la ricerca continua e miriamo a produrre uno studio sugli internati militari, un dizionario dell’antifascismo, uno schedario del partigiano. Per poter proseguire abbiamo bisogno del supporto di tutti, dalle famiglie dei deportati alle istituzioni».
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi