Funghi, cresce la diffusione delle specie più velenose

L’allarme viene dal Servizio per l’igiene degli alimenti dell’Usl. «In molti casi si possono facilmente confondere con altri commestibili. Ma si rischia la morte»

belluno

Crescono in provincia le specie velenose di funghi. Nei giorni scorsi, alcuni bellunesi hanno portato al Servizio di igiene degli alimenti e nutrizione (Sian) dell’Usl Dolomiti alcuni esemplari di Cortinarius speciosissimus, «una specie di fungo diffusa nei boschi di conifere che un tempo era molto localizzata, ma che ora inizia a diffondersi un po’ dappertutto», sottolinea il direttore del Sian, Oscar Cora. «Si tratta di una specie dal veleno mortale e che, nei casi migliori, può portare ad un blocco renale irreversibile. La sua particolarità è che i sintomi di avvelenamento compaiono anche a distanza di 2-3 settimane dall’ingestione. Bisogna quindi stare molto attenti quando si raccoglie, anche perché è facile scambiarlo con un altro tipo di fungo, commestibile, quale il Gomphidius viscidus che si trova perlopiù in Trentino».

Per questo Cora lancia un appello a chi si avventura nei boschi senza avere una approfondita conoscenza delle varie specie di funghi. «Ricordo che il nostro Servizio è deputato anche ad analizzare i funghi raccolti dai cittadini, in caso di incertezza sulla loro commestibilità. Basta telefonare al Sian e prendere un appuntamento. Purtroppo siamo rimasti soltanto in due a svolgere questa attività e quindi dobbiamo incastrare i normali impegni con questa ulteriore incombenza stagionale».



Ma parlando di funghi è inevitabile sottolineare la loro capacità di assorbire la radioattività presente nel terreno, soprattutto dopo Chernobyl. «Una radioattività che è in diminuzione», sottolinea Cora, «anche se ancora presente. Ogni anno procediamo con il campionamento di alcune specie di funghi che sappiamo essere più assorbenti e li mandiamo ai laboratori dell’Arpav di Belluno per analizzarli. Nel 2017 abbiamo trovato diversi tipi di funghi con una radioattività superiore a quella consentita per la commercializzazione che è pari a 600 Becquerel. Per questo la nostra raccomandazione è quella di consumare sempre pochi funghi e di variare, per evitare concentrazioni non solo di elementi radioattivi, ma anche di metalli pesanti».

Tra le specie più radioattive, ci sono lo “steccherino dorato” (Hydnum repandum), diffuso in tutta la provincia sia nei boschi di conifere che in quelli di latifoglie. «È stato trovato a Forcella Aurine ma anche in Nevegal con valori molto alti», precisa Cora. A questi si aggiunge il Rozites caperatus conosciuto anche col nome di “caperata”, molto diffuso soprattutto nei boschi di conifera con suolo acidificato. «A sorpresa abbiamo scoperto essere un buon captatore di radioattività anche un fungo bellissimo, che a mio parere può essere definito come la stella alpina dei funghi, vale a dire l’ Hygrocybe punicea (in dialetto lo chiamano Fonch de la carne o, nel feltrino, Fonch de la Brosa). Caratteristiche simili ce le ha anche il Boletus badius molto diffuso anche questo».

Non hanno, invece, grande capacità di trattenere elementi radioattivi i chiodini, mentre i porcini (Boletus edulis) sono funghi che non captano né metalli pesanti né radioattivi. «Si consiglia però sempre di non abusare di queste pietanze». —





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