Fuori e dentro il carcere a sostegno dei detenuti
di Martina Reolon
BELLUNO
«Il percorso di cui ci occupiamo è orientato a far sì che chi ha compiuto un reato arrivi al riconoscimento del reato stesso, all’assunzione di responsabilità, alla consapevolezza che attraverso il proprio comportamento ha comportato un danno per qualcuno, che sia singolo, gruppo o collettività. E che, in ultima fase ma non meno importante, si renda disponibile a riparare questo danno».
È stata presentata ieri a Palazzo Rosso l’attività dell’Ufficio di esecuzione penale esterna (Uepe), servizio dell’amministrazione penitenziaria del Ministero di giustizia, istituito con legge del 1975.
«In sostanza», continua Chiara Ghetti, dirigente Uepe di Venezia, Treviso e Belluno, «si tratta dell’ex Centro servizio sociale adulti. All’interno dell’Uepe operano un direttore di Servizio sociale, assistenti sociali, personale amministrativo. Lavoriamo all’esterno del carcere, con interventi di sostegno e controllo per chi è in misura alternativa alla detenzione e per chi è condannato e si trova in attesa dell’esecuzione della pena. In questi casi ci occupiamo di dare tutte le indicazioni e informazioni al Tribunale di Sorveglianza».
«Ma operiamo anche direttamente nelle carceri, dove curiamo la preparazione per la dimissione e cerchiamo di capire se la persona può essere ammessa a una misura alternativa alla detenzione».
E se l’Uepe di Belluno, fino a qualche anno fa, aveva sede solo a Mestre, grazie a una collaborazione maturata dal 2008 con il Comune, ha un proprio ufficio anche nel capoluogo, nella sede comunale di Piazza Duomo.
«Un ufficio aperto una volta alla settimana», precisa l’assessore Angelo Paganin, «abbiamo dato il nostro supporto logistico perché gli assistenti sociali che operano all’esterno del carcere potessero avere una sede, tanto più che arrivano da fuori provincia. Ma il percorso che abbiamo intrapreso ha anche un risvolto culturale, volto a fare la differenza tra chi è detenuto e chi segue percorsi diversi».
«Bisogna mettere ben in chiaro», tiene a precisare la Ghetti, «che quando si parla di misura alternativa si è sempre all’interno dell’esecuzione penale. Non significa quindi che chi ha commesso un reato non sconti la pena, ma lo fa in modo diverso rispetto alla detenzione in carcere».
Per esempio, nel caso di soggetti affidati in prova al servizio sociale (ossia chi ha avuto una condanna fino a 3 anni, 6 se tossicodipendente, e per il quale è stato predisposto un programma di trattamento) una misura alternativa è lo svolgimento di attività non retribuite a favore della collettività (che si distinguono dai lavori di pubblica utilità, che coinvolgono soggetti per cui la competenza è del Tribunale ordinario).
«Sta proprio in questo», aggiunge la Ghetti, «la logica della “giustizia riparativa” che, partendo dal reato, guarda a un presente orientato al futuro, perché la persona si attivi per porre rimedio al danno arrecato. Sono 8 gli enti del territorio bellunese (tra cui Comune e Provincia) che hanno dato la propria disponibilità ad accogliere i soggetti affidati in prova». Tre gli assistenti sociali dell’Uepe che attualmente operano per Belluno.
«Raddoppiati rispetto a un po’ di anni fa», afferma la Ghetti, «il paradosso è che, pur trattandosi di figure costituite per contenere la spesa pubblica, con le recenti manovre rischiano di ridursi proprio a causa delle contrazioni della spesa pubblica».
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