Furbetti del cartellino l’ex capo tra i 12 indagati
BELLUNO. Manca poco ormai alla chiusura delle indagini della procura della Repubblica sui cosiddetti “furbetti del cartellino”. Un’inchiesta che ha coinvolto personale dei Servizi forestali regionali di Belluno.
A finire indagato c’è anche l’ex capo della sede bellunese Pierantonio Zanchetta: per lui si configura l’ipotesi di reato di omessa denuncia. Secondo il materiale in possesso della Procura, infatti, il capo più volte sarebbe stato ripreso mentre usciva dalla sede accompagnato da altri collaboratori: mentre Zanchetta sarebbe stato sempre immortalato a timbrare il cartellino, alcuni dei suoi collaboratori non lo avrebbero fatto. E da qui l’omessa denuncia per questi comportamenti “disinvolti”.
In questi giorni si stanno concludendo gli interrogatori, durante i quali gli indagati si sarebbero avvalsi della facoltà di non rispondere.
E si vanno anche delineando le posizioni di ciascuno dei 12 indagati. Tra questi vi è anche un ex amministratore della Valbelluna.
Il procuratore Francesco Saverio Pavone anticipa che per le persone che si sono assentate dal lavoro senza timbrare il cartellino per meno di un’ora complessiva, si potrebbe configurare solo una sanzione amministrativa; per gli altri resterebbe l’ipotesi di false attestazioni sulle presenze in servizio, in poche parole assenteismo. Resta ancora da capire se si procederà anche per truffa.
L’indagine è scaturita da una soffiata di una fonte anonima, probabilmente un dipendente pubblico, che avrebbe scritto quanto stava realmente succedendo.
I carabinieri avrebbero iniziato a monitorare la situazione, che ha portato alla luce questi comportamenti. Le indagini hanno evidenziato parecchie irregolarità: c’era chi in orario di lavoro andava a bersi il caffè o leggersi il giornale, chi faceva delle commissioni personali, chi usciva prima o entrava dopo al lavoro senza mai timbrare il cartellino. In totale decine e decine di ore mai lavorate; da quanto è dato sapere, per qualcuno si parlerebbe di oltre 40 ore di lavoro mai fatte.
L’inchiesta dei militari dell’Arma è durata diversi mesi, con registrazioni video e fotografie. Dalla Procura è poi arrivato anche l’input di installare un sistema di videosorveglianza vicino all’apparecchio che segna entrate ed uscite, documentando così tutti i movimenti dei dipendenti.
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