Galan: «Addizionale Irpef, una follia»

Il ministro boccia Zaia: vergognoso aumentare le tasse a servizi invariati
Corsia ospedaliera e in alto il ministro dell’Agricoltura Giancarlo Galan
Corsia ospedaliera e in alto il ministro dell’Agricoltura Giancarlo Galan
VENEZIA.
Sanità veneta commissariata e addizionale Irpef allo 0,9% per tutti? «E' una follia, così si aumentano le tasse a servizi invariati. Mi chiedo: qual è, ammesso che esista, il disegno della Regione in materia sanitaria?». Parole di Giancarlo Galan, ministro dell'Agricoltura, predecessore del governatore Zaia a Palazzo Balbi.

«La deriva commissariale non è affatto obbligata, risponde a una scelta. Qualcuno oggi scopre che la sanità è in deficit ma il disavanzo, da quindici anni a questa parte, è sempre lo stesso: 130 milioni o giù di lì. Noi avevamo scelto di ripianarlo, di destinare questa somma alle categorie più deboli: gli anziani, i disabili, i non autosufficienti. Perché l'attuale amministrazione non fa lo stesso? Trovino questi soldi risparmiando altrove. Il capo della Lega ha fatto la campagna elettorale denunciando sprechi nel Veneto: ebbene, se ci sono, li eliminino e impieghino le risorse per la sanità. La verità è che era una bugia a scopo di propaganda».

Luca Zaia attribuisce il «buco» della sanità al mancato introito dell'addizionale regionale Irpef, che lei ha sospeso. Ciò, unitamente ai tagli di bilancio imposti dal Governo, ha mandato i conti in rosso.
«Questo è assurdo e non corrisponde a verità. Io sono contro le tasse, le considero una limitazione della libertà. Ho tolto l'addizionale, dopo averla costantemente abbassata per anni, perché l'esercizio del buon governo ci ha consentito di farlo. I veneti meritano meno pressione fiscale degli altri, aumentare la tassazione è la scelta più facile per reperire risorse; è la politica storica della sinistra: più tasse e migliori servizi. Ma qui, addirittura, si vogliono far pagare di più le stesse prestazioni con un'aliquota elevata al tetto massimo e generalizzata. Non sta né in cielo né in terra, sarebbe una vergogna. Confido che i miei la impediscano».

Resta il problema di reperire risorse in tempi di vacche magre, con tagli di bilancio e costi elevati.
«Noi le abbiamo sempre trovate senza infilare le mani nelle tasche dei cittadini. Non ci sono buone ragioni per inasprire le tasse in Veneto, semmai ce ne sarebbero per abbassarle, se il contesto economico generale lo consentisse. Intanto voglio complimentarmi con il presidente Zaia perché, almeno a Treviso, ha sconfitto, insieme al sindaco Gobbo, la fazione leghista contraria al "financial project", cioè al ricorso dei capitali privati per realizzare le grandi opere. Prima l'hanno demonizzato, poi, fortunatamente, hanno seguito il mio esempio per costruire il nuovo ospedale trevigiano. Mi auguro facciano altrettanto per Padova».

C'è chi legge nel commissariamento del sistema sanitario, ormai inevitabile alla luce di bilanci, l'esito di un'astuta manovra di Luca Zaia che, in un sol colpo, otterrebbe due risultati: finanziamenti pari a 1,2 miliardi in tre anni (grazie all'addizionale) e azzeramento, per legge, dei vertici delle Usl, con la chance di procedere alla nomina di nuovi direttori generali, più "graditi"...
«Non voglio neppure pensarlo. Lo escludo. Sarebbe una mascalzonata, ho troppa stima verso il mio predecessore al ministero per prendere in considerazione un'ipotesi del genere. Il rinnovo dei manager della sanità è fisiologico nei tempi stabiliti cioè alla scadenza degli incarichi. Suggerisco di resistere alle pressioni di partiti e lobby, privilegiando la competenza. Io ho fatto così».

Il welfare sanitario, oltre che il più ingente business, è anche è il fiore all'occhiello del Veneto. Non è che il suo baricentro si stia spostando, in sintonia con la staffetta Pdl-Lega al timone della Regione?
«Io dico questo: per me il cuore della nostra sanità è Padova, con la sua scuola medica d'eccellenza. Poi c'è Verona, polo più recente e in crescita. Ebbene, se la Regione vuole capovolgere questo rapporto, abbiamo il diritto di saperlo. Per me sarebbe una sciagura, perché Padova esige non soltanto la manciata di posti letto che qualcuno vorrebbe assegnarle, ma un campus universitario e un grande polo ospedaliero d'eccellenza. Domanda: in quale direzione si vuole andare?».

Verona ha sponsor politici influenti e una Fondazione bancaria che eroga finanziamenti cospiscui.
«Ce li aveva anche ai miei tempi. La domanda è: ci accontentiamo di primeggiare su Campania e Calabria o affrontiamo la sfida con l'Ile de France, la Catalogna, la Baviera. Insomma con le punte avanzate dell'Europa?».

Restando a Verona, il sindaco Tosi, delegato alla sanità nella sua ultima giunta e criticato da più parti per il mancato taglio dei rami secchi, mantiene uno zampino in Regione attraverso l'assessore Coletto, suo uomo di fiducia.
«Per tutti i veronesi che hanno guidato la sanità vale una considerazione: hanno privilegiato la ricerca del consenso rispetto alla gestione virtuosa. Io mi sono trovato sottosegretari, da Brancher alla Martini, che sfilavano per impedire la chiusura di piccoli ospedali costosi e indifendibili. Carlo Bernini era trevigiano eppure, ai suoi tempi, ha saputo compiere scelte lungimiranti e impopolari a Treviso, che ora ne raccoglie i frutti. Anch'io ho cercato di farlo. Altri agiscono diversamente, ma i nodi verranno al pettine».

Beh, il vicepresidente Zorzato ha ridotto numero e indennità dei dirigenti di Palazzo Balbi. Una scelta nel segno del rigore. O no?
«Bene, allora impieghino le risorse liberate per garantire i servizi sanitari che finora abbiamo assicurato ai nostri concittadini. Senza aumentare il prelievo fiscale, però. Avrei potuto farlo anch'io, magari a scapito dei redditi alti, così nessuno avrebbe protestato. Ho agito diversamente perché, a differenza dei demagoghi, credo nel federalismo vero».

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