Ghiacciaio a metà in Marmolada: «Un destino segnato»

A Roma presentato il nuovo catasto delle zone alpine. La Regina perde 7 metri di spessore ed è diviso in due lingue

ROCCA PIETORE. Il ghiacciaio della Marmolada, il più esteso delle Dolomiti, si è prosciugato, ha perso addirittura 7 metri di spessore e si è spaccato in due aree, in due lingue, tanto che la Provincia di Trento vuol correre ai ripari, coprendolo di grandi teli per proteggerlo dall’opera devastante del sole e delle alte temperature. Copiando, in questo, ciò che ha fatto la società Funivie Marmolada, mettendo in sicurezza alcuni fazzoletti di ghiaccio dove scende la pista da Punta Rocca.

Gli ambientalisti, però, recitano già il de profundis. «Il destino è già segnato, nell’arco di 10 anni, al massimo di 20», azzarda Luigi Casanova, portavoce della confederazione Cipra «la massa si sarà sciolta, avremo tutta roccia».

Perché nessuna speranza? La drastica riduzione dello spessore ha fatto emergere 7 metri di roccia, a Punta Penia e Punta Rocca, ma soprattutto da Sasso delle Undici e Sasso delle 12. «La roccia si riscalda e funziona da termosifone», spiega Casanova «Un termosifone che porta alla fusione della massa ghiacciata. Bisognerebbe coprire di teli anche queste cime, ma sarebbe davvero ridicolo». Di neve se ne sta vedendo pochissima. Rispetto ai 19 metri dell’inverno 2013/2014, la quota caduta quest’anno non è arrivata ai 7 metri e le temperature alte dell’estate non hanno faticato a scioglierla.

Ieri, alla presentazione a Roma del catasto delle aree ghiacciate italiane è stato presentato come una novità assoluta che dalla fine dell’agosto 2015, il più grande ghiacciaio vallivo italiano il “gigante” dei Forni, nel Parco Nazionale dello Stelvio, non è più unitario ma si è spaccato in tre con un collasso continuo del suo settore inferiore. Ma la Marmolada è già storia, in questo senso. La prospettiva non è affatto rassicurante. L’analisi delle variazioni volumetriche avvenute negli ultimi 26 anni – dal 1981 ad oggi - ha evidenziato un rilascio idrico da parte dei nostri ghiacciai, considerando solo quelli elle Alpi Centrali, pari a 2000 miliardi di litri, l’equivalente di 800 mila piscine olimpiche.

Il Nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani è stato illustrato ieri alla Camera dei Deputati dall’Intergruppo parlamentare per il clima Globe Italia, al quale hanno preso parte, fra gli altri, Stella Bianchi, presidente Intergruppo per il clima Globe Italia, Claudio Smiraglia e Guglielmina Diolaiuti, Università degli studi di Milano - Dipartimento di Scienze della Terra (entrambi componenti del Comitato Scientifico Centrale del Club alpino italiano), Umberto Martini, presidente generale del Club alpino italiano, e i rappresentanti di altre associazioni.

I dati reali più recenti del Catasto dei ghiacciai italiani sostanzialmente confermano una generale tendenza al regresso. Dagli anni ’60 del XX secolo al primo decennio del XXI secolo è avvenuta una riduzione reale del 30% (da 527 kmq a 370 kmq), cui si è aggiunta un’ulteriore contrazione del 5% dal 2007 al 2012. La superficie glaciale persa è confrontabile con quella del Lago di Como ed è conseguente non solo al rimpicciolimento dei ghiacciai ma anche alla completa estinzione di quasi 200 apparati. «Il costante aggiornamento del Catasto», spiega Smiraglia «in tempi brevi includerà le criticità presenti sulle Alpi Italiane e connesse alla degradazione dei ghiacciai. Infatti compilando il Catasto, i ricercatori hanno osservato profonde modificazioni che possono avere risvolti non trascurabili su pericolosità e rischio ambientali anche sul fronte del dissesto idrogeologico. Gli scenari futuri del glacialismo italiano, inoltre, basati sull’evoluzione del clima derivante dai modelli climatici, indicano che un’inversione della tendenza in corso è alquanto improbabile e che nell’arco di pochi decenni si potrebbe realizzare un’ulteriore avvicinamento a un paesaggio alpino, più simile ai Pirenei e agli Appennini, ormai quasi totalmente privo di ghiacciai, che sembra il destino inevitabile delle montagne del futuro».

Secondo il presidente generale del Cai, Umberto Martini, da questi effetti bisogna difendersi, sostenendo gli sforzi che alla Conferenza Onu di Parigi COP21 del prossimo dicembre saranno compiuti per definire l'impegno, vincolante per tutti gli Stati e per tutti i popoli, di contenere entro i limiti di 2° C il riscaldamento del pianeta.

Francesco Dal Mas

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