Ghiacciaio della Marmolada: «Scomparirà in vent’anni»

Temperature elevate e siccità: il glaciologo Franco Secchieri lancia l’allarme. «L’ultima estate ha accelerato il ritiro delle masse gelate delle Dolomiti» 

BELLUNO

Esisterà ancora il ghiacciaio della Marmolada fra 20 anni? «No, scomparirà molto prima con i mutamenti climatici in atto». Parola di Franco Secchieri, glaciologo tra i più autorevoli. La sua attività lo porta a seguire l’evoluzione dei ghiacciai, in particolare quelli dolomitici e dell’Alto Adige, con ripetuti sopralluoghi annuali sia terrestri che aerei, per poter poi trarre indicazioni sulle dinamiche degli stessi e sui loro bilanci di massa, cioè la differenza tra quello che hanno accumulato nella stagione invernale e quello che hanno perso per fusione durante la stagione estiva.

Cosa ha constatato nelle sue perlustrazioni estive?

«L’estate appena trascorsa è stata forse una tra le peggiori per i ghiacciai, sia per la siccità, sia per le temperature che sembrano non essere mai state così elevate, almeno da quando seguiamo l’evoluzione del clima con metodo scientifico. Questo ha portato a una accelerazione del ritiro, che era già in atto, di tutte le masse gelate presenti nelle aree montuose, sulle Dolomiti in particolare».

Il ghiacciaio superiore dell’Antelao in che misura esiste?

«Una foto del 1982 lo dà ancora consistente. Oggi resiste una placca di pochi metri quadrati. Diciamo, quindi, che è in consunzione».

E il ghiacciaio di Fradusta, sulle Pale di San Martino?

«Non esiste più. Solo 37 anni fa era molto esteso, copriva tutta quella schiena di montagna che oggi appare desolatamente pietrificata».

Anche il Civetta vantava un suo ghiacciaio…

«Il ghiacciaio dei Cantoni è ormai ridotto a modeste placche di nevato, parzialmente coperte da detrito».

Analoga sorte per il ghiacciaio del Sorapis?

«Sì, solo un po’ di nevato».

Non ci resta che la Marmolada?

«Ma anche quest’anno non ha ricevuto alcun contributo di neve. La poca che c’è stata si è subito sciolta. Di questo passo fra 10 anni, al più 20, la Marmolada sarà desertificata, solo sassi e roccia».

La neve, dunque, non si trasforma in ghiaccio a causa delle temperature sempre più alte?

«Proprio così. La gravità della situazione è rappresentata dalla pressoché totale assenza della copertura del manto nevoso invernale (neve vecchia), come è stato possibile rilevare osservando le superfici di molti apparati glaciali alla fine di quest’estate, fatto che ha favorito la fusione del nevato nei bacini collettori oltre che, naturalmente, di una grande quantità di ghiaccio».

I cambiamenti del clima (da cui anche la recente emergenza) stanno provocando una grave carenza idrica, nonostante le apparenze.

«Appunto. Il contesto meteoclimatico generale sta accentuando la stato di grave carenza idrica, con pesanti ripercussioni in molteplici settori ambientali, dall’agricoltura agli approvvigionamenti dell’acqua per usi industriali e persino domestici. Anche se poi si assiste purtroppo a una polarizzazione degli eventi meteorologici, con danni gravi all’intero patrimonio montano. Si tratta, dunque, di eventi traumatici, dato che siamo stati abituati a sviluppare il nostro modello socio economico in una situazione climatica “normale”, senza mai preoccuparci che potesse arrivare un momento di crisi di queste dimensioni. L’acqua è sempre stata abbondante e, di conseguenza, sempre abbondantemente sprecata».

C’è, dunque, di che preoccuparsi per il futuro idrico dei nostri territori.

«L’ambiente nivo-glaciale sta di fatto esaurendo le sue riserve d’acqua in forma solida e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, a cominciare dalle magre eccezionali dei grandi fiumi padani che si sono verificate nell’autunno dell’anno scorso. Il cambiamento climatico che si sta verificando non consiste solamente in un generalizzato aumento delle temperature su tutto il pianeta, quanto anche nella modifica delle dinamiche dell’atmosfera che spesso non vengono considerate nelle tragiche profezie mediatiche e nel catastrofismo di noti profusori di scienza popolare. D’altra parte concorrono ad aumentare le preoccupazioni per la svolta climatica anche gli eventi meteorologici eccezionali come quelli ricordati, che hanno recentemente generato alluvioni, frane e distrutto interi boschi nel Veneto».

Ma torniamo ai ghiacciai. Si può in qualche in qualche misura evitare o frenare il loro scioglimento?

«Bisogna auspicare una maggiore sensibilità da parte delle autorità competenti o predisposte, non perché con questo sia possibile trovare rimedi magici, ma quanto meno per dare una giusta importanza al monitoraggio dei territori d’alta quota, anche per gli aspetti direttamente legati alla criosfera. Non dimentichiamo, ad esempio, che anche lo scioglimento del permafrost può portare a modifiche di rilievo anche per la possibilità di innesco di nuove frane. Ricordo che purtroppo la Regione Veneto, sicuramente attiva nel monitoraggio glaciologico dell’area dolomitica, ha cessato questa attività di controllo dopo il 2015, appena approntato il nuovo Catasto dei ghiacciai delle Dolomiti».

Cioè, proprio nel momento dell’agonia, il morituro, cioè in questo caso il ghiacciaio, viene abbandonato a se stesso?

«Dal 2015, ho personalmente e volontariamente (con rilievi aerei) proseguito in questa attività di controllo e monitoraggio, anche perché testimoniare l’evolversi di una simile situazione, per i territori di alta quota, diventa quasi un imperativo categorico, se si vuole che rimanga traccia e memoria di un cambiamento ambientale epocale». —



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