Gioco d’azzardo, «la colpa è dello Stato»

I sindaci si dichiarano impotenti di fronte al fenomeno: «Serve un’azione legislativa nazionale»
BELLUNO. Se si vuole effettivamente porre un limite al gioco d’azzardo non bastano i provvedimenti presi dalle singole amministrazioni comunali, serve una seria regolamentazione a livello statale. Ne sono convinti i sindaci interpellati sul tema. Nello specifico, i primi cittadini di alcuni comuni che, sulla base dell’inchiesta “Slotinvanders 2017”, portata avanti dai quotidiani locali del gruppo Gedi in collaborazione con Dataninja, si collocano nella “top 20” a livello provinciale per l’incidenza del numero di slot machine sul totale degli abitanti e per la cifra raccolta pro capite tramite il gioco.


Il “podio del disonore” è formato da Cortina d’Ampezzo, Belluno e Santa Giustina. Al sesto e al settimo posto ci sono Calalzo di Cadore e Seren del Grappa. Al decimo e all’undicesimo Lozzo e Agordo. Tutti Comuni con popolazione al di sotto dei 5 mila abitanti.


«La problematica è sentita, nel nostro Comune come penso in tutte le altre realtà bellunesi», sottolinea Mario Manfreda, sindaco di Lozzo, in cui la raccolta pro capite ammonta a 730 euro e il numero di apparecchi per 1.000 abitanti è di 10,4. «Il fatto è che lo Stato fa cassa attraverso slot machine, “gratta e vinci” e altri tipi di lotterie. È davvero arrivato il momento di un’azione legislativa nazionale. Il gioco fa parte dell’essere umano, è sempre esistito. Ma nei periodo di crisi come quello che stiamo vivendo è più facile che le persone deboli siamo prese nel “cappio”». E non sono sufficienti le azioni dei Comuni. «Esiste la migrazione del gioco», ricordano Manfreda e Sisto Da Roit, sindaco di Agordo, dove il giocato a testa è di 721,7 euro. «Se in un comune vengono tolte le macchinette, la gente si sposta nel paese più o meno vicino. La questione deve essere affrontata alla radice». «Il problema è a monte», continua Da Roit con Dario Scopel, primo cittadino di Seren del Grappa, che registra giocate pro capite di 856 euro, «e sta nel fatto che lo Stato, alcuni anni fa, ha deciso di potenziare questo tipo di entrate. Per poi trovarsi di fronte a costi sociali elevatissimi, che ricadono sui Comuni». «Lo Stato ci lucra e deve assumersi le sue responsabilità», ribadisce Scopel. E, secondo il primo cittadino di Agordo, c’è anche un problema culturale ed educativo: «Il gioco viene pubblicizzato a livello di mass media e ci si lava la coscienza dicendo che “Può creare dipendenza”. Ci vorrebbe meno ipocrisia».


A Calalzo la raccolta pro capite è di 1.001,3 euro e l’incidenza delle macchinette “mangia soldi” è 11,4. «Il dato è allarmante e già da anni abbiamo avviato parecchie iniziative di sensibilizzazione, anche con il Servizio dipendenze dell’Usl, e la presentazione di uno dei libri emblematici sul tema, “Nel paese dei balocchi”», commenta il sindaco, Luca De Carlo. «Quella da gioco è una dipendenza subdola e quando diventa manifesta il soggetto ha ormai dilapidato una fortuna. Due anni fa abbiamo approvato una delibera per contrastare la ludopatia. Si è anche pensato di intervenire esentando il pagamento delle tasse agli esercenti che tolgono le slot. Ma spesso gli introiti sono molto maggiori degli sgravi e poi c’è il problema della legittimità del provvedimento».


A parlare degli esercenti è anche Manfreda, il qualche ricorda che, specie nei piccoli paesi di montagna, ci sono locali che riescono a tenere aperto solo grazie ai ricavi di slot e “gratta e vinci”. «Come amministratori di montagna lo diciamo da anni, ma nessuno ci ascolta: la tassazione sui locali dei territori marginali deve essere presa in mano a livello statale. Oppure vogliamo che le aree di montagna “chiudano i battenti”?».


Martina Reolon


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