Giovane ereditiera: «L’anziano vicino era come uno zio»
VOLTAGO. Uno zio aggiunto. Uno di famiglia. Uno che non ne voleva più sapere dei parenti di Milano. E soprattutto Massimo Dal Molin era capace d’intendere e volere. Già i testimoni della parte civile avevano dato una grossa mano a Raffaella Gnech, figurarsi quelli della difesa e il consulente di parte. La donna è in tribunale per una circonvenzione d’incapace, a questo punto sempre più presunta.
L’eredità di Dal Molin è finita ai figli dell’imputata: 70 mila euro e una casa di valore, mentre i famosi parenti milanesi erano stati già messi a posto. Tutto perché era stato accudito e curato dalle sorelle Gnech fino al momento del decesso. Quanto ai numeri della contestata circonvenzione d’incapace, si parla di 17 mila euro in contanti, altrettanti di una polizza vita e movimenti per 55 mila sul conto postale. Raffaella Gnech era la direttrice dell’agenzia Poste italiane di Canale d’Agordo e aveva dimestichezza con i conti.
Tra i testimoni sfilati ieri davanti al giudice Feletto e al pubblico ministero Rossi, un anziano cardiologo ancora in gamba, che ha descritto la sua amicizia con Dal Molin: «Una persona perbene. Non avevamo le stesse idee politiche, ma ne parlavamo volentieri. Non l’ho mai visto in condizioni precarie. Aveva un accento milanese, ma aveva cancellato i parenti di Milano. Non ne voleva più sapere di loro». Una delle ereditiere ha chiamato Dal Molin zio per tutto il tempo, pur non essendo proprio così: «Non avevamo lo stesso sangue, ma per me era davvero come uno zio, fin da quando ero piccola e giocavamo insieme. Conosco il testamento e sapevo che i soldi del conto postale cointestato erano di Massimo Dal Molin. Nessuno di noi aveva dubbi, in proposito». Il fidanzato ha confermato tutto e lo stesso hanno fatto gli altri testimoni.
Gnech è difesa da Massimiliano Paniz, mentre due parenti lombardi sono parte civile con il concittadino Amato. La prossima udienza sarà quella decisiva. —
Gigi Sosso
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