Giovane ricercatrice di Seren sotto i riflettori negli Stati Uniti

Monika Rech ha ricevuto il “Bill Stanley young investigator award” per i suoi studi sul cuore Lavora da due anni all’università di Maastricht: «Vorrei un ritorno dignitoso per noi ragazzi»

SEREN DEL GRAPPA. Di certi successi e talenti migrati all’estero, per passione ma anche per necessità, si sente parlare soltanto negli ambienti in cui nascono e crescono. Monika Rech è fra questi: 26 anni, di Seren del Grappa, ricercatrice da due nel dipartimento di cardiologia al Cardiovascular research institute (ospedale accademico) di Maastricht, nei Paesi Bassi, qualche settimana fa ha ritirato a Tarrytown, New York, il premio “Bill Stanley young investigator award”, durante la conferenza internazionale sul metabolismo cardiaco al fianco di altri tre studiosi.

Nella sua carriera si occupa in particolare di «microRna, piccoli frammenti di genoma che influenzano», spiega, «l’espressione genica, nel mio caso, del cuore. Rappresentano una potenziale strategia terapeutica per il paziente con insufficienza cardiaca».

È grazie ai suoi ultimi studi che ha potuto ottenere l’importante riconoscimento. «Sei mesi fa io e il mio team di ricerca ne abbiamo discusso al congresso della Società europea di cardiologia a Varenna, sul lago di Como, dove ho ricevuto una menzione. Il bello della ricerca è che non bisogna mai smettere di interagire con gli istituti: bisogna viaggiare, contattar esperti dall’altra parte del mondo, confutare tesi e proporre nuove ipotesi continuamente, fino a che si arriva a uno soluzione condivisa e comprovata».

Diplomata al liceo scientifico Dal Piaz, appena dopo aver conseguito la laurea triennale in biologia molecolare a Ferrara nel 2011 viene accettata all’università di Maastricht per frequentare il master “Cardiovscular biology and medicine”. Dove studia e lavora tuttora.

«Mi sono trasferita in questa vivace e fiorente cittadina olandese dove mi sono trovata a mio agio sin dai primi giorni. Il secondo anno ho potuto svolgere il tirocinio a Salt Lake City presso la “Division of endocrinology, metabolism & diabetes” dell’università dello Utah, anche grazie a una borsa di studio ottenuta dalla Fondazione olandese per la ricerca sulle malattie cardiache. Il mio progetto riguardava il “pathway” dell’insulina nell’ipertrofia cardiaca. È stata una grande soddisfazione essere nel team di ricerca del dottor Abel».

In America è stata per 9 mesi, dove ha potuto «acquisire professionalità nelle tecniche del settore, oltre che ampliare le conoscenze culturali di un Paese per molti aspetti diverso dalla nostra Europa, in circostanze nuove e particolarmente favorevoli, dato il confronto con i maggiori istituti di ricerca internazionali».

Nel cuore però custodiva anche altro: «Io amo la montagna e amo sciare. Abituata alle nostre uniche Dolomiti, non potevo che essere entusiasta della catena dei Wasach Canyons in Utah».

Monika Rech il sogno di tornare a casa ce l’ha, ma in un Paese che creda di più nella ricerca scientifica: «Molti giovani come me devono restare oltre frontiera perché ci sono più opportunità. Questo non può, però, sopire il desiderio di rientrare un giorno a casa. Vorrei rimanere nel settore biomedico e poter contribuire a superare le frontiere della scienza: la medicina personalizzata. Purtroppo, però, per il mio ambito di ricerca lavorare in istituti accademici italiani non è attraente né motivante. Chi governa il nostro Paese riuscirà a mantenere i rapporti e richiamare la nostra attenzione di giovani emigranti? I grandi investitori del settore non guardano all’Italia, le restrizioni normative limitano il campo d’azione della ricerca. A volte anche la scarsa consapevolezza dell’opinione pubblica sulle strategie della ricerca scientifica e farmaceutica ha il suo impatto negativo. Vorrei poter prevedere un dignitoso rientro di noi giovani in Italia; questo con l’auspicio di poter essere noi parte attiva in un rilancio della crescita culturale ed economica del nostro Paese».

Francesca Valente

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