Giovanni e Beatrice in fuga da Milano: «Nella pizzeria di Celàt la nostra rinascita»
Lui venditore ambulante, lei informatica, hanno deciso di cambiare vita: «A San Tomaso abbiamo scoperto che la ricchezza non è data dai soldi»
BELLUNO. La prima cosa che hanno fatto nell’estate 2018, appena arrivati nella pizzeria presa in gestione a Celàt di San Tomaso, è stata togliere le tende dalle finestre della sala da pranzo per permettere ai clienti di ammirare il Civetta.
Un mese e mezzo prima avevano fatto la stessa operazione metaforica con la loro vita: avevano scostato il drappo che separava l’immaginazione dalla realtà e si erano decisi.
Lui, Giovanni Pampuri, 56 anni, di Vigevano, svolgeva due lavori: dipendente per una ditta di commercio all’ingrosso di oreficeria in piazza Duomo a Milano e venditore ambulante di salumi e formaggi sempre a Milano. Lei, Beatrice Gaspardo, originaria del Friuli, 44 anni, faceva l’informatica da venti. «Sessanta ore di lavoro a settimana», ricorda Beatrice, «58 passate in riunioni in cui non si decideva nulla». «Eravamo stanchi del modo di vivere di Milano», aggiunge Giovanni, «una città in cui tutti corrono, ma non sanno bene dove andare». «Chiami l’amica», è ancora Beatrice a parlare, «e ti risponde che non può perché è di fretta: deve andare dall’estetista. Insomma, parliamone».
I due, che allora vivevano in case separate, meditavano da tempo un cambio di rotta orientato verso la montagna. Complici le difficoltà dell’azienda in cui lavorava Giovanni, hanno seguito l’istinto. «Non volevamo essere come quelli che passano il tempo a lamentarsi e non fanno nulla per modificare la propria condizione», dicono, «quando poi soffia il vento del cambiamento è inutile opporsi».
Lo hanno percepito a maggio 2018 nel momento in cui sono arrivati per la prima volta a San Tomaso. «Mio fratello che abita a Claut», racconta Beatrice, «aveva letto sui giornali del bando per la gestione di un bar-ristorante a Laste e ce l’aveva segnalato. Abbiamo partecipato alla gara, ma non siamo riusciti a vincerla. Qualche tempo dopo, però, il sindaco di San Tomaso, Moreno De Val, ci ha contattato per proporci la conduzione della pizzeria. Così siamo venuti a vedere. Era una giornata di pioggia e ci siamo detti: “Se ci piace anche col brutto tempo, non abbiamo più dubbi”».
Quarantacinque giorni dopo Beatrice e Giovanni, senza alcuna esperienza nella ristorazione, se non il diploma all’alberghiero conseguito da Giovanni più di 30 anni prima, sono già operativi alla pizzeria Off-line: «Abbiamo un pizzaiolo dal giovedì alla domenica», spiegano, «una cameriera per i fine settimana e una lavapiatti. Quest’ultima è una figura difficile da trovare; per fortuna per quest’estate una compaesana, mossa a pietà, ha deciso di darci una mano. Con questo lavoro non diventiamo ricchi, ma viviamo bene. Siamo imprenditori anomali. Ci siamo confrontati con altri colleghi del settore che hanno sposato la loro attività. Noi no: siamo venuti qui per lavorare, certo, ma vogliamo anche goderci la vita, con un pizzico di fatalismo. La ricchezza non è data solo dai soldi che guadagni. Abbiamo ancora quattro anni di contratto. Speriamo ce lo rinnovino a buone condizioni. In caso contrario faremo altro, ma sempre in montagna».
Oggi, un lunedì mattina di inizio luglio, sono dietro il banco al piano terra di un edificio che, nella loro immaginazione, a quelli superiori potrebbe ospitare appartamenti e spazi di co-working. Salutano per nome tutti gli avventori del posto, anticipando le loro richieste e consegnano carte e depliant ai turisti che si affacciano alla porta per chiedere informazioni. «La comunità locale ci ha accolto molto bene», sottolinea Beatrice, «sappiamo di essere “foresti”, che certe dinamiche appartengono alla gente che vive qui da sempre, che non possiamo essere noi a spiegare come si devono fare le cose. Ma ci sentiamo parte di questa comunità. Vengono a portarci le uova o i fagioli sott’olio; se andiamo via qualche giorno ci annaffiano i fiori sui davanzali e ci mettono fuori i bidoni dell’immondizia. Io mi ricordo di essere un’informatica quando aiuto le persone a fare lo Spid o il permesso per la raccolta funghi che quest’anno hanno complicato di brutto». «Ecco perché», chiosa Giovanni, «quando siamo in vacanza e viene l’ora di tornare a casa, pensare che casa sia tutto questo è tanta roba».
Il legame con San Tomaso e con la sua gente si è instaurato in occasione di un evento infausto come la tempesta Vaia dell’ottobre 2018. «Sarà brutto da dire», ammette Giovanni, «ma è stato un momento in cui noi abbiamo potuto conoscere tante persone del volontariato locale che venivano qui a mangiare a mezzogiorno e loro hanno avuto modo di conoscere noi. Il rapporto con la gente, nato in quei difficili giorni e poi continuato, a noi piace molto».
Oltre alla bellezza del paesaggio che colpisce anche gli amici che vengono a trovarli («quando vogliamo portarli a fare un’escursione», ride Giovanni, «ci dicono: “Ma perché? Meglio di qui dove vuoi andare!”») e alla ricchezza delle interazioni umane, i due hanno trovato anche altri motivi per confermare quella sensazione provata a pelle il giorno dell’arrivo a San Tomaso che aveva fatto dire loro: «Noi a Milano non ci torneremo più».
«Qui i ritmi e i bisogni sono diversi», spiegano, «giù avevamo due auto, qui una sola e, spesso, la muoviamo una volta a settimana. Giù, comprendendo quelli per trovare parcheggio e quelli a tornare indietro per controllare che l’auto fosse chiusa, ci impiegavamo 40 minuti ad andare a fare la spesa, qui in otto minuti siamo a Cencenighe. Giovanni ogni tanto se la fa addirittura a piedi per il vecchio sentiero. Giù, quando li contattiamo per andare a trovarli, i nostri amici ci rispondono che hanno avuto una giornata stressante e non se la sentono di uscire; qui ti si riempiono le giornate, ma hai un senso di pace che è dato da tempi diversi e non dal fatto che ci sia poca gente».
Grazie a un intenso lavoro dell’amministrazione comunale, San Tomaso ha però conosciuto negli ultimi anni un incremento delle presenze turistiche: la palestra di arrampicata, il sentiero delle Dolomiti in miniatura, la zip-line, il planetario, la festa dell’orzo, cereale alla base di uno degli impasti per pizza proposti da Beatrice e Giovanni, costituiscono attrattive interessanti.
«Il sindaco Moreno è un visionario, uno che ha messo un sacco di proposte sul tavolo. Ed è grazie a lui e ai suoi collaboratori se oggi arriva tanta gente. Crediamo, però, che questo possa essere il momento giusto per decidere quali turisti vogliamo, quale immagine del paese vogliamo veicolare. Nell’estate 2020, dopo il lockdown, sono arrivate tante persone che non sapevano cosa fosse la montagna: entravano alle 11 in infradito per chiederci consiglio per una camminata facile. Oppure anche oggi ci sono quelli che vogliono portare la nonna sul sentiero delle Dolomiti in miniatura, ma devono tornare indietro per la difficoltà del percorso. Aggiungiamoci coloro che vengono da noi in dicembre e ci chiedono se i porcini sulla pizza sono freschi».
Beatrice e Giovanni sono pronti ad accogliere tutti, ma un invito alla riflessione tarato sul loro punto di vista lo mettono sul piatto. «Siamo andati a vedere le realtà dell’Alto Adige, ma non ci piacciono. Pensiamo, anzi, che sia sbagliato guardare ad esse come il modello di riferimento. Se San Tomaso diventasse come loro», dicon in coro, «noi andremmo a cercare un altro posto dove vivere».
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