Gli agricoltori: cervi e cinghiali ci rovinano

L’appello di Coldiretti e Confagricoltura: «La politica intervenga. Non c’è più tempo, servono piani di contenimento»

«C’è il rischio che gli allevatori e gli agricoltori se ne vadano, lasciando il territorio in balia della natura. Se vogliamo che la provincia di Belluno diventi una grande oasi, allora che la politica lo dica chiaramente. Ma se vogliamo continuare a gestire questo territorio, rendendo possibile la convivenza tra uomo e ambiente, allora servono interventi mirati, che passano anche tramite prelievi ragionati di fauna selvatica, per permettere a tutti di sopravvivere».

L’appello accorato arriva dal presidente di Coldiretti Belluno, Alessandro De Rocco, ed è condiviso dal collega di Confagricoltura, Diego Donazzolo.

Lo spunto sono gli attacchi del lupo a pecore e asini, ma anche quelli di cervi e cinghiali ai campi coltivati. Senza contare che gli ungulati stanno rendendo la vita difficile anche in Val Boite, dove mangiano l’erba fresca dei pascoli, costringendo gli allevatori ad acquistare il foraggio. La Coldiretti parla di provincia che sta “rinselvatichendo”. «L’abbandono delle superfici coltivate e la promiscuità tra bosco e coltivazioni sta creando non pochi problemi». «Pensiamo al cinghiale che sta devastando i campi di granturco a Sedico e Santa Giustina», aggiunge Donazzolo. «I cinghiali si mangiano non solo i raccolti, ma anche i nidi di alcune specie di uccelli a terra. E poi ci sono i cervi che mangiano l’erba fresca, che hanno eliminato in Cansiglio l’abete bianco e che non permettono il ricambio del sottobosco. È facile dire non uccidiamo gli ungulati, non uccidiamo il lupo. Ma è indispensabile trovare il modo per una equilibrata convivenza», precisano dalla Coldiretti.

«La natura non fa mai le cose a caso», spiega De Rocco. «Da sempre i predatori hanno la funzione di regolare la popolazione dei predati e questo è fuori discussione. In ambienti fortemente antropizzati, l’uomo e gli animali sono entrati in competizione e il primo ha preso il sopravvento, potendo insediarsi nei territori, sviluppare l’agricoltura, l’allevamento e tutto il tessuto sociale che ne deriva. In questi ultimi anni, però, il meccanismo sopracitato si è inceppato e il sistema sta mostrando i propri limiti, poiché l’uomo non è più stato messo nelle condizioni di svolgere correttamente la funzione di gestore dei territori, che nei secoli ha svolto con successo».

Il presidente di Coldiretti si chiede cosa abbia contribuito a rompere il delicato equilibrio. «Sono state scelte dettate dall’umore del momento piuttosto che frutto di attenti ragionamenti, scelte favorite dalla perdita del contatto vero con la natura e soprattutto con la vera funzione dell’allevatore/agricoltore di montagna». E poi aggiunge: «Resta il fatto che la mala gestione del territorio ha, tra le varie conseguenze, quella di favorire il proliferare degli animali “preda”, perché non contrastati adeguatamente. La natura ci pensa e ricompaiono i grandi predatori. Serve, quindi, la volontà di adottare le scelte necessarie. Non c’è tempo da perdere. Gli allarmi lanciati dalla natura (e da chi vive in montagna), sono evidenti e inequivocabili».

«Gli agricoltori sono esasperati, serve una svolta nella gestione della fauna selvatica o l’economia montana rischia di andare a rotoli. Il problema va affrontato a 360 gradi da tutti i soggetti interessati, anche dai cacciatori. Basta con norme nazionali restrittive», conclude Donazzolo. —




 

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