Gli albergatori fodomi e i falsi allarmi: «Dateci regole chiare»

Dopo il caso di Arabba, Michela Lezuo chiede lumi De Cassan (Ascom): «Tocca a noi istruire la clientela»
Di Lorenzo Soratroi
Pieve di Cadore, 24 settembre 2006. L'elicottero del Suem
Pieve di Cadore, 24 settembre 2006. L'elicottero del Suem

LIVINALLONGO. Il cliente non torna in albergo per l’ora di cena. L’albergatore si preoccupa, ma nello stesso tempo viene assalito dal dilemma: allerto, magari invano, i soccorsi o aspetto con il rimorso, poi, di non averlo fatto prima? Questo il dubbio amletico che si stanno ponendo gli albergatori di Arabba, ma di certo non solo loro, dopo il caso scoppiato nei giorni scorsi ai piedi del Boè.

La segnalazione di un albergatore del posto, preoccupato per non aver visto rientrare per cena due clienti, aveva allertato la macchina dei soccorsi, salvo poi scoprire poche ore dopo che i due turisti avevano semplicemente cambiato il programma della giornata. Nel frattempo, però, si erano già messi in moto uomini e mezzi, attrezzati e pronti ad ogni evenienza. Un falso allarme che ha messo inutilmente in allarme i volontari del Cnsas e del 118 in questi giorni di super lavoro, che li vede già impegnati quotidianamente in decine di interventi in montagna. «È la terza o la quarta volta che succede quest’estate», aveva ammonito il responsabile del soccorso alpino bellunese Fabio Rufus Bristot. «Bisogna fare attenzione e magari avere solo un po’ di pazienza prima di allertare i soccorsi perché ogni volta si muovono in molti. E quando si alza l’elicottero poi sono costi molti importanti».

Come comportarsi quindi in casi simili? Dopo quanto tempo si devono chiamare i soccorsi? Come conciliare la comprensibile e giusta preoccupazione di un albergatore di fronte al mancato rientro di un cliente con il rischio di creare un procurato allarme? Queste le domande che la presidente dell’Associazione turistica Arabba Fodom Turismo, Michela Lezuo, rimanda a forze dell’ordine, Cnsas, 118 per avere dei chiarimenti su come gestire casi di questo genere che, a quanto pare, sono molto più frequenti di quello che si immagina. «Noi abbiamo un target di clienti che durante il giorno esce per sciare, andare in moto, in bici o a piedi in montagna e la sera generalmente rientra per cena», spiega la Lezuo. «Di solito chi si attarda avverte in albergo. Ma se non li vediamo tornare, ovviamente, ci preoccupiamo. Ma cosa dobbiamo fare in questi casi? Attendere 24 ore come, da quanto mi risulta, prevede la legge per denunciare la scomparsa di una persona o chiamare prima? E se non chiamiamo e con il senno di poi si vede che invece sarebbe stato importante e fondamentale farlo? Siamo in montagna, ci sono dei pericoli, un’allerta tempestiva potrebbe essere determinante. Ma d’altra parte il cliente non è neanche obbligato a dirci cosa fa e dove va. Non è in collegio. Capisco che quando parte la segnalazione si muove una macchina imponente, con i relativi costi. Ma come esercenti noi facciamo solo una segnalazione. Sta a chi di competenza poi decidere quanti uomini o mezzi allertare in base alla situazione».

La Lezuo chiede, quindi, di avere dai responsabili regole chiare, soprattutto sulle modalità e le tempistiche per allertare un soccorso in casi come quello accaduto l’altro giorno ad Arabba. «Cosa significa, non creare allarmismi», si chiede ancora la presidente? «Che non si deve chiamare prima che sia trascorso un certo tempo? E quant’è, allora questo tempo? Il problema poi è ancora più difficile da gestire per i garnì, dove il cliente è meno vincolato alla struttura perché ha solo il pernotto e la colazione».

Per Walter De Cassan, presidente degli albergatori dell’Ascom, la soluzione è molto semplice: «Non si sono chissà che regole. Basta solo applicare il buonsenso e l’unica regola che vale in montagna: avvertire dove si va e se non si torna. E non resta altro che sia l’albergatore a sensibilizzare il cliente a farlo».

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi