Gli avvocati dissidenti «Manca il confronto non possiamo restare»
L’arringa dei dimissionari. Mentre il presidente dell’Ordine degli avvocati, Erminio Mazzucco rimane in silenzio e non rilascia alcuna dichiarazione, le tre toghe dissidenti Eugenio Ponti, Livia Cadore e Ivan Borsato prendono posizione, cercando di spiegare i motivi delle loro dimissioni, a pochi mesi dall’insediamento.
Attesa anche per gli eventuali sostituti, per i quali ci sarà tempo fino al giorno 29: dovrebbero essere Alberto Fascina, Cecilia Franciosi e Massimiliano Paniz, sempre ammesso che accettino l’incarico: «Se fino a oggi, abbiamo ritenuto di non spiegare pubblicamente le ragioni delle nostre dimissioni, ciò è dipeso soltanto da una forma di rispetto verso il presidente dell’Ordine, in quanto, a nostro parere sarebbe stato compito di quest’ultimo comunicare prima e tentare di dare una spiegazione poi alle dimissioni di tre suoi consiglieri, tra i quali il segretario. Preso atto del silenzio del nostro presidente, per evitare ulteriori illazioni prive di fondamento, il profondo rispetto per l’ordine, nonché il ruolo istituzionale del consiglio, ci impone di precisare che le nostre dimissioni, scelta estremamente sofferta, non sono affatto state dettate da smanie di ricoprire ruoli direttivi né per sfuggire da un impegno gravoso, ma esclusivamente nel tentativo di dare un segnale forte a questo presidente e a questi consiglieri, affinché possano raddrizzare la rotta».
La causa principale della frattura sembra la mancanza di confronto, in un consiglio già di per sé spaccato in due. La maggioranza è di cinque a quattro: «È evidente che prima di arrivare alle dimissioni abbiamo tutti cercato, all’interno del consiglio, un confronto che fosse costruttivo, ma siamo rimasti inascoltati. Per quanto ci riguarda, il difetto di collegialità, in un organo che è per definizione collegiale come il consiglio dell’Ordine, è un peccato mortale che porta con sé, inevitabilmente, incomprensioni all’interno e all’esterno con i soggetti istituzionali, con i quali un consiglio deve per forza rapportarsi». —
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