Gli edifici rustici in Val Visdende catalogati pensando al turismo
SAN PIETRO. Il rilancio della Val Visdende, il futuro della sua dimensione turistica, passa anche dal recupero dei fabbricati che la caratterizzano, alcuni ormai quasi dimenticati anche dagli stessi proprietari. E su questa linea può essere d’aiuto l’esperienza dell’architetto Edoardo Gellner che, intorno agli anni Ottanta, ha realizzato uno studio approfondito sull’architettura definita spontanea o anonima.
È questo lo schema della tesi di laurea di Andrea Soravia di San Pietro di Cadore, dal titolo “Il recupero dei tabiè della Val Visdende sulla base degli studi dell’architetto Edoardo Gellner”, discussa nei giorni scorsi all’Università di Udine, per il corso di laurea in scienze dell’architettura, relatore il professor Giovanni Tubaro.
«Con questa tesi», spiega Soravia, «ho voluto anzitutto parlare di un territorio che amo, come la Val Visdende. Un luogo a mio avviso meraviglioso, peraltro unico valico transfrontaliero del Veneto, una vera oasi naturalistica. Io non sono ovviamente a favore di un insediamento turistico di massa, ma credo invece che sia possibile un rilancio del turismo di nicchia, rivolto agli amanti della montagna, agli sportivi ed a chi vuole stare a stretto contatto con la natura».
Per dare sostanza a questo suo progetto, ovvero rendere fruibile la valle in modo sostenibile, recuperando ad esempio moltissimi fienili di diverse dimensioni, Andrea Soravia si è rifatto ad un architetto che ha lasciato una chiara impronta nel Cadore, come Edoardo Gellner. Attraverso lo studio degli insediamenti, della cultura e del territorio, Gellner è stato infatti in grado di presentare una ricerca approfondita delle tipologie edilizie realizzate del Bellunese, sottolineando analogie e differenze.
Per la sua tesi Soravia poi ha anche realizzato una catalogazione fotografica dei fabbricati della Val Visdende, ed ha dato vita quindi ad una sorta di guida per il recupero dei tabiè con finalità turistiche e ricettive.
«Edoardo Gellner si è occupato spesso», ricorda Soravia, «delle aree meno pregiate, integrando i percorsi agli edifici, rendendo questi ultimi una sorta di continuazione magmatica del terreno, eliminando o quasi la distinzione tra tetto e pareti. È poi stato molto impegnato nell’elaborazione di centri di aggregazione, municipi e strutture civiche per l’intero territorio cadorino e alcune cittadine del Bellunese. I suoi lavori sono intrisi di contenuti innovativi e non di rado sorprendenti, ma sono anche frutto di uno studio attento del passato, come si può vedere in due volumi di grande valore, “Architettura anonima ampezzana” (1981) e “Architettura rurale delle Dolomiti Venete” (1987)».
Il tema insomma è l’architettura rurale: un esame complesso con l’obiettivo di rivelare scientificamente la logica delle strutture e la ricchezza delle forme attraverso in cui si manifesta l’insediamento umano nell’area dolomitica.
«La sua idea è quella di superare molte delle generalizzazioni e banalizzazioni di tanta letteratura sull’architettura alpina. La ricerca di Gellner», sottolinea Andrea Soravia, «è sostenuta dall’innata curiosità del suo carattere, che gli permette di osservare sistematicamente un manufatto e chiedersi il perché di un determinato particolare. E la parte più interessante della sua ricerca è la relazione tra la struttura e l’ambiente che la circonda, definendo in poche parole come ogni insediamento sia il precipitato di consuetudini costruttive che sono andate via via a sedimentarsi nel corso degli anni diventando quindi una sorta di regola».
Stefano Vietina
twitter@vietinas
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi