Gli indimenticabili panini degli anni d’oro alla “Buca”

Renzo Trevisson ha acquistato il locale con la moglie Daniela Zannin nel 1978: «Tornano spesso a trovarci ex militari e studenti che frequentavano il bar»



. Hanno sfamato generazioni di studenti e militari, grazie a un’intuizione che anticipò i tempi delle paninoteche, diventate poi celebri soprattutto negli anni Ottanta. Il bar La Buca di via Monte Cima è un’istituzione feltrina, le sue genovesi e le sue ciabatte sono rimaste nell’immaginario degli studenti di una volta, che ora ci portano i figli, o dei militari della caserma Zannettelli, che dopo tanti anni tornano per salutare e riassaporare i gusti della loro gioventù.

Il bar La Buca ha compiuto quarant’anni a fine 2018 ed è ora gestito da Luigi Trevisson, che da quando ha ripreso la conduzione del locale di famiglia è affiancato, in particolare, da Martina Zardo, ma anche da altri collaboratori. Tra i quali nel recente passato c’è pure stato il nipote Luca, che prosegue la dinastia di una famiglia di baristi, perché proprio di dinastia si tratta.

Renzo Trevisson e la moglie Daniela Zannin sono stati gli indimenticabili gestori della Buca e tutt’oggi Daniela è spesso dietro il bancone. Ma anche Renzo è sovente presente, perché uno sguardo attento, un consiglio al figlio Gigi non lo si nega mai. La storia della famiglia Trevisson a Feltre parte ancor da più lontano, dal 1956, quando Gigetto e la moglie Gina presero la gestione del caffè Commercio di largo Castaldi: «La mia famiglia è arrivata a Feltre nel 1956, provenendo da Valdobbiadene», spiega Renzo, «ma in precedenza i miei genitori avevano condotto a Belluno, dove sono nato, il bar Vittoria, l’Helvetia e poi, in società con altri, il Manin».

Come nasce il bar la Buca?

«C’era un’esposizione di mobili del mobilificio Nilandi. Bepi Nilandi di fronte a un gingerino mi disse che stava vendendo questo piccolo spazio, che aveva immaginato potesse diventare un bar. Al caffè Commercio eravamo gestori, la proprietà non vendeva e abbiamo deciso di acquistare qui nel giro di 24 ore, aprendolo a metà dicembre 1978».

Cercaste un’impostazione innovativa?

«Partimmo da zero, puntando a proporre qualcosa di nuovo. A quei tempi in tutta la provincia non esisteva una paninoteca, che proponesse per esempio le salse fatte in casa, con prodotti di qualità e non industriali. Bisognava spostarsi nelle grandi città per trovare qualcosa di simile e quello è stato il grande successo della Buca. Dopo quarant’anni la linea del bar La Buca non è cambiata, a dimostrazione che la scelta fu lungimirante».

Guardaste in prospettiva anche per l’arredamento del locale, con quel caratteristico bancone a Esse?

«Nonostante la struttura del bar e gli spazi fossero poco favorevoli, Scottini seppe dare un taglio molto moderno, tuttora attuale, tanto che dopo 41 anni si nota che è vissuto ma rimane ancora valido».

Fu strategica anche la scelta del luogo?

«Ci interessò fin da subito l’ubicazione di questo spazio, perché era di fronte alla caserme, all’istituto Colotti, qui a fianco c’erano gli artigiani, poco lontano il liceo classico. Lasciammo un luogo centrale, come largo Castaldi e un bar con clienti più stanziali, come i giocatori di carte o di biliardo, per un locale giovanile ed effettivamente ben posizionato».

Ha citato le caserme, quanto è cambiata Feltre nel corso di questi 40 anni e in particolare con la chiusura della Zannettelli?

«Era importantissima, non soltanto per La Buca, ma per l’intera città. Basta pensare che ogni sera uscivano settecento, ottocento ragazzi che riempivano i bar, le pizzerie, le trattorie, i ristoranti, ma anche i negozi. Il lavoro è diminuito molto rispetto a quei tempi ed è un guaio per tutti».

Tantissimi anni dietro a un bancone lasciano anche molte amicizie e relazioni.

«Capita molto spesso che tornino qui a trovarci, con i loro figli o da soli, studenti che frequentavano il bar, oppure ex militari, che vengono a rivedere la vecchia caserma e si fermano da noi per l’aperitivo. Sono rimasto molto amico, per esempio, di un ex caporale che era qui a fine anni Ottanta, che ci ha pure invitato al suo matrimonio ed è tornato a trovarci anche due settimane fa. Sono tornati i militari di leva con le morose, che poi sono diventate mogli e infine sono ritornati a presentarci i figli. Era facile stringere rapporti di amicizia con gli emiliani e i romagnoli, perché avevano sempre un sorriso da regalarti. E poi l’epoca dell’università, ma anche le nostre scuole superiori, con i ragazzi che letteralmente scappavano a ricreazione per venire qui a mangiare la genovese e qualche volta dovevano venire a riprenderli. Oppure, se passava il preside, li nascondevamo nello sgabuzzino, con l’accordo, però, che sarebbero dovuti immediatamente tornare a scuola».

Non solo studenti, difficile non ricordare dentro le mura del bar La Buca don Giulio Perotto, un’istituzione di questa città.

«Era un cliente fisso con il caffè e poi tornava per qualche aperitivo, ma anche i fratelli Brambilla e tutto il gruppo del Csi e molti ancora, come i ragazzi del rugby, dell’hockey, il calcio, insomma una grande famiglia». –



Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi