Gli stambecchi delle Dolomiti saranno studiati da due Università

Zurigo e Torino vogliono capire perché le colonie reagiscono diversamente alle malattie come la rogna



Gli stambecchi bellunesi tornano ad essere oggetto di studio. Quindici anni fa, in seguito ad un’epidemia di rogna sarcoptica, la Provincia di Belluno collaborò con l’Università di Torino per sperimentare una cura che ebbe effetti positivi e ora quegli stessi studiosi tornano a studiare questi grandi scalatori. A spiegarlo sono Franco De Bon, consigliere provinciale delegato alla caccia, e Luca Rossi, il veterinario dell’Università di Torino che ha già operato nel bellunese. Il progetto è nato tra Italia, Francia e Svizzera per capire quanto le varie colonie siano in collegamento tra loro e la resistenza genetica delle colonie stesse ad alcune malattie, come la rogna, che nelle Alpi Occidentali non si è manifestata.

«Il “progetto madre”», spiega Luca Rossi, «è condotto dal professore svizzero Lucas Keller, che ha sequenziato il genoma degli stambecchi. Dopo aver saputo che le colonie di Veneto e Friuli hanno reagito in maniera molto diversa alla rogna, Keller vuole capire se la genetica e una diversa origine delle colonie spieghino quanto accaduto».

Svizzeri e torinesi hanno individuato 5 colonie di stambecchi delle Alpi orientali: due bellunesi (Marmolada e Marmarole) e tre friulane (quelle del Montasio, nell’ex foresta demaniale di Tarvisio, e le due colonie presenti nel Parco delle prealpi Giulie). «In Friuli, nello spazio di pochi chilometri», spiega ancora il dottor Rossi, «ci sono due colonie che hanno reagito in maniera totalmente diversa alla malattia: una è crollata, l’altra (quella de monte Canin) si è dimostrata super resistente. È successo lo stesso nel bellunese: la colonia della Marmolada è crollata passando da 600 esemplari a circa 100, per poi risalire a 300; mentre gli stambecchi delle Marmarole hanno resistito e la popolazione è stabile a 300 individui».

Nel corso dell’estate, dunque, gli studiosi saliranno sulle Dolomiti e sulle Alpi friulane con una duplice missione: radiocollarare alcuni esemplari per seguirne gli spostamenti ed eseguire piccoli campioni di pelle, che verranno raccolti o addormentando gli animali, o sparando loro delle particolari siringhe, brevettate a Zurigo, capaci di eseguire il prelievo con minor impatto sull’animale. In ogni colonia saranno analizzati 30 individui e la Provincia di Belluno metterà a disposizione, a costo zero come sottolinea il consigliere De Bon, alcuni agenti che accompagneranno i veterinari delle Università di Torino e di Zurigo, e alcuni carabinieri forestali.

Sulle Alpi orientali lo stambecco è una specie rara: dei 200 mila esemplari presenti in Italia, solo mille si trovano in questa zona e si tratta di colonie ricreate a partire dagli anni ’70, dopo che la persecuzione da parte dell’uomo avevano sterminato questi animali in tutto il Paese, riducendo la presenza degli stambecchi a una sola colonia sul Gran Paradiso. «Gli stambecchi della Marmolada», ricordano Rossi e De Bon, «sono stati reintrodotti nel 1978 con soggetti del Gran Paradiso, mentre quelli delle Marmarole furono reintrodotti dal Canton Grigione. Finora la rogna, arrivata dall’Austria nell’800, non ha mai superato la barriera dell’Adige (e soprattutto l’autostrada), ma gli svizzeri vogliono approfondire lo studio in prospettiva di un potenziale rischio. —

Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi