Guardia medica finisce sotto inchiesta

Si sarebbe rifiutata di visitare un agente della polizia penitenziaria: omissione in atti d’ufficio è l’accusa della procura
Di Marco Filippi
Una veduta aerea dell'area dell'ospedale San Martino Sotto il direttore sanitario dell'Usl 1 Lucio Di Silvio
Una veduta aerea dell'area dell'ospedale San Martino Sotto il direttore sanitario dell'Usl 1 Lucio Di Silvio

BELLUNO. Omissione in atti d’ufficio. È l’accusa che la procura della Repubblica contesta ad una guardia medica di Padova, M.I., 39 anni, in servizio al “San Martino” di Belluno, accusata di essersi “ingiustificatamente” rifiutata di visitare un agente di polizia penitenziaria. «Io stavo male e lui mi ha detto che avrei dovuto rivolgermi ad un medico di base», accusa I.R., 28 anni di Belluno. «Si è comportato in modo arrogante ed io dovevo essere a disposizione delle emergenze», ribatte il medico finito sotto inchiesta.

Il fatto risale alla sera del 2 agosto 2010, quando la guardia carceraria, in servizio a Baldenich, si presenta negli uffici della guardia medica, al sesto piano dell’ospedale di Belluno, accompagnato da una collega. L’agente penitenziario dice che sta male, ha problemi intestinali e vuole essere sottoposto ad una visita. Ma la guardia medica gli risponde che avrebbe dovuto rivolgersi al medico di base. Cosa che non era possibile per l’agente penitenziario in quanto ne aveva ancora uno, essendo arrivato a Belluno soltanto da qualche mese.

La guardia carceraria, dopo un vivace battibecco col medico padovano, decide di scendere al piano terra per farsi visitare da un medico del pronto soccorso. L’agente viene messo in lista d’attesa e tre ore e mezza dopo viene visitato da una dottoressa che gli riscontra “enterite virale e crampi addominali”. La prognosi di guarigione è di tre giorni, a partire dal giorno 3 agosto, essendosi la visita conclusa poco dopo la mezzanotte.

Il poliziotto del carcere, però, ha bisogno di un certificato medico che gli copra anche il giorno precedente, il 2, essendosi assentato dal lavoro per problemi di salute. Ma la dottoressa del pronto soccorso gli risponde che quel giorno deve coprirlo la guardia medica con un suo certificato. I.R. è costretto a tornare dalla guardia medica, ma tra i due è un “dialogo tra sordi”.

Al di là delle accuse di atteggiamento di arroganza che l’uno rimpalla all’altro, le versioni rimangono opposte. Il poliziotto incolpa il dottore padovano di essersi rifiutato di visitarlo, mentre questi accusa l’altro di essersi presentato in ospedale per chiedergli direttamente un certificato medico da presentare in carcere. Secondo il medico infatti, in quel momento avrebbe potuto rilasciare il certificato “bianco” che attestava che la guardia carceraria s’era presentata nel suo ufficio ma non avrebbe potuto rilasciare il certificato rosso che poteva essere sottoscritto solo dal medico di base. Altro aspetto anomalo per il medico finito sotto inchiesta è dovuto al fatto che l’agente penitenziario, pur asserendo di essere residente a Belluno da mesi, non avesse ancora un medico di base.

L’inchiesta è formalmente chiusa. La difesa del medico, rappresentata dall’avvocato Antonio Prade, ha fatto annullare il decreto di citazione a giudizio del pubblico ministero in quanto il reato di omissione in atti d’ufficio è di competenza del tribunale in composizione collegiale.

Il caso, dunque, è destinato ad approdare in un’apposita udienza davanti al giudice delle udienze preliminari. Per il reato di omissione in atti d’ufficio (il 328 del codice penale) si rischia una condanna da un minimo di 6 mesi ad un massimo di due anni di reclusione.

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