«Hanno perso tutto ma sono contenti di essere ancora vivi»
BORCA. Marco Sala è rientrato dal Nepal. L'alpinista di Borca, componente del gruppo dei Rocciatori Caprioli, è rientrato in Italia domenica pomeriggio con il compagno di viaggio Sebastiano Valentini. Stanno entrambi bene, hanno riabbracciato le loro famiglie. Sala e Valentini erano al campo base dell'Everest, con Mario Vielmo, Annalisa Fioretti e Claudio Tessarolo, quando sulle tende si abbattè una slavina scesa del Pumori. Il gruppo avrebbe dovuto salire in vetta alla parete ovest del Lhotse, a 8.516 metri. La slavina, causata dal terremoto che ha devastato il Nepal e causato migliaia di vittime, ha costretto Sala e i suoi compagni, miracolosamente illesi, a cambiare programma. Per alcuni giorni si sono fermati al laboratorio Piramide, gestito dall’associazione Evk2Cnr, a 5.050 metri di quota, sul versante nepalese del monte Everest. Poi sono partiti da soli per scendere e provare a raggiungere l'Italia.
«Stiamo bene», dice Sala, «abbiamo riabbracciato le nostre famiglie. La discesa ci ha molto provati, ma abbiamo visto anche la forza e lo spirito del popolo nepalese. Il terremoto ha provocato una distruzione a macchia di leopardo. Alcune aree sono completamente devastate ed altre, invece, sono intonse. Certi paesi, come Pheriche, sono stati totalmente distrutti; invece a Namche Bazar solo tre case sono state colpite, il monastero è stato danneggiato, ma il resto no. Abbiamo camminato quasi ininterrottamente sino a Lukla, zona dove non sembra ci sia stato il terremoto. Da lì siamo poi arrivati a Kathmandu. Quello che più colpisce, e che non scorderò mai, è la forza della gente», sottolinea Sala, «abbiamo attraversato paesi distrutti, dove c'erano i segni evidenti dei cadaveri e della devastazione. La gente ci sorrideva. Un sorriso disarmante. Sono imperturbabili. Erano contenti. Per loro conta aver salvato la vita. L'unico vero bene è la vita e non si preoccupano minimamente dei beni materiali. E' un popolo davvero straordinario, dal quale imparare. Nessuno strillava, si lamentava, piangeva. Sorridevano, grati di essere ancora al mondo. La vita per loro continua, anche se non hanno più una casa: e per questo sorridono. E' davvero incredibile per noi che in Occidente siamo abituati ad affezionarci ai beni materiali, alle nostre case, costruite con i sacrifici del lavoro. Anche loro fanno sacrifici per le abitazioni, ma l'unica cosa che conta è essere vivi».
A Kathmandu com'era la situazione?
«Molto caotica», risponde Sala, «anche lì in alcune zone non sembrava ci fosse stato il terremoto. Alcuni alberghi erano chiusi solo per problemi legati alla mancanza di corrente o di acqua. Altre aree invece sono state devastate. Siamo stati poco perché ci siamo imbarcati in uno degli ultimi voli organizzati dalla Farnesina. Avevamo comunicato il numero di passaporto. Ci hanno atteso all'aeroporto e siamo partiti. Abbiamo fatto uno scalo ad Abu Dhabi e poi siamo atterrati a Milano».
Tanti vorrebbero aiutare il Nepal. Che consiglio dai per fornire il miglior aiuto?
«Lì c'è molta confusione», ammette Sala, «si capisce che sono arrivati beni alimentari o altro, ma non c'è coordinamento. Non c'è una vera e propria unità di crisi che spartisce i materiali. Io ritengo che la cosa migliore sia affidarsi alle Onlus che già stanziano in Nepal da tempo, che sanno come muoversi e che aiuteranno chi ha bisogno. Penso alla Onlus dedicata a De Marchi. Bisogna contattare loro. Andare là adesso per aiutare è inutile, se non dannoso, sarebbe una bocca in più da sfamare. Bisogna far passare l'emergenza e coordinarsi con chi è già lì».
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