I 50 anni dell’Abm «L’emigrazione non è ancora finita»
BELLUNO. «Tantissime le battaglie che abbiamo portato avanti per far riconoscere e tutelare i diritti dei nostri emigranti. Siamo riusciti a far tornare chi se ne era andato dopo il Vajont e voleva rientrare. Credevamo anche di aver eliminato l’emigrazione “forzata”. Ma sono ancora troppi i nostri giovani che devono - e non solo possono - cercare lavoro al di fuori dei confini provinciali. Il nostro impegno deve quindi continuare».
In queste parole di Vincenzo Barcelloni Corte, primo presidente Abm, si riassumono significato, ruolo e valore di un’associazione nata 50 anni fa, il 9 gennaio 1966, per creare un collegamento, che prima non esisteva, tra i bellunesi che vivevano al di fuori del territorio provinciale e la terra di origine. Una funzione che l’Abm, adattandosi ai tempi attuali, continua a ricoprire, vista la nuova ondata migratoria che vede tanti giovani lasciare il territorio. E se oggi i “bellunesi nel mondo” possono contare su una rete che li supporta è grazie a un percorso iniziato mezzo secolo fa. Un percorso e un traguardo, quello appunto dei 50 anni, che sono stati festeggiati ieri con una cerimonia, condotta da Dino Bridda, ospitata dal Teatro comunale di Belluno, alla presenza di numerose autorità, emigranti ed ex emigranti, persone che, a vario titolo, si sentono da sempre vicine all’Abm. A raccontare 50 anni di storia proprio coloro che ne sono stati protagonisti, a cui è stata consegnata una medaglia in segno di riconoscenza.
«È stata la forza dell’amore per i nostri fratelli che ha indotto il sottoscritto e altri 25 amici, nel 1966, ad ascoltare quello che ci diceva il vescovo Gioacchino Muccin (tra i promotori del sorgere dell’Abm, ndr): dare una casa agli emigranti», ha ricordato Barcelloni Corte. «Il sindaco di allora, De Mas, ci avvisò che perdevamo solo tempo, perché i bellunesi non sapevano andare d’accordo. Ma si sbagliava. Lo dimostra il fatto che siamo ancora qui dopo 50 anni».
«La nostra terra è fatta di impegno, sacrifico e fatica», ha detto Maurizio Paniz, presidente Abm per 15 anni, «in tutto il mondo ci sono opere che hanno viso e mano dei bellunesi. Dobbiamo recuperare l’orgoglio di essere tali. Ricordo ancora le parole di Giovanni Caneve e Aurelio Antoniazzi, alla guida della Famiglia di Liegi, che mi chiesero di fare di tutto affinché non ci fossero più insegne al di fuori dei locali che, nel mondo, dicevano “Vietato l’ingresso ai cani e gli italiani”». Da parte sua Patrizio De Martin, storico direttore dell’associazione, sostituito nel 2011 da Marco Crepaz, ha ricordato le battaglie fatte affinché agli emigranti fossero riconosciuti i diritti di cittadinanza, voto, pensione, assistenza sanitaria. E non ha mancato il richiamo al presente: «Mi ha sempre colpito l’unità dei nostri bellunesi all’estero. Facevano squadra e parlavano dei problemi della provincia: ferrovia, autostrada, privilegi delle regioni “speciali”. Problemi che ci sono tuttora: perché non cerchiamo di andare d’accordo come facevano i nostri emigranti e proviamo a risolverli?».
Gioachino Bratti, altra figura storica di presidente Abm, ha sottolineato come l’associazione si identifichi da sempre con i valori di «memoria, riconoscenza, persona». «Quello che ricordo più volentieri sono le persone che ho incontrato nel mondo. Persone ricche di umanità, valori e fede», ha detto, esprimendo riconoscenza nei confronti di alcuni “pionieri” del sodalizio: Silvano Bertoldin (ieri era presente la vedova, Giovanna Talamini), don Mario Carlin, Gianbattista Dalla Corte, Renato De Fanti, Ester Riposi.
Sul palco del Comunale anche Umberto Crema, uno dei primi consiglieri Abm, classe 1918, che non ha dimenticato di ricordare le difficoltà che l’associazione affrontò per poter nascere, anche a causa di alcuni ostacoli esterni “politici”, nonostante il sodalizio si fosse configurato da sempre come apolitico. La cerimonia è stata accompagnata dal Coro Minimo Bellunese e da un ricordo, con un video, dei Belumat, sin dall’inizio vicini all’Abm.
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