I Comuni non devono risarcire Valsabbia ma resta il nodo del ripristino

La società chiedeva 39 milioni agli enti che avevano autorizzato la centrale, il Tribunale di Venezia ha bocciato la richiesta

GOSALDO

Ha iniziato a costruire «pur sapendo che i provvedimenti autorizzativi erano ancora sub judice, e pertanto suscettibili di annullamento». Eva Valsabbia non poteva non sapere che stava correndo un rischio, avviando la realizzazione delle opere per l’impianto idroelettrico in valle del Mis. Il Tribunale civile di Venezia ha quindi respinto la richiesta di risarcimento milionaria avanzata dalla società nei confronti dei Comuni di Gosaldo e Sospirolo, della Regione e dell’ente Parco.

Valsabbia aveva chiesto quasi 39 milioni di euro agli enti che avevano autorizzato la costruzione dell’impianto, fermato dalla Cassazione nel 2012. La sentenza è stata pubblicata venerdì e fa tirare un bel sospiro di sollievo ai sindaci e al presidente del Parco. Resta però aperto il nodo del ripristino dei luoghi: Valsabbia, pur con due sentenze che la obbligano a demolire le opere realizzate e a riportare la vallata allo stato antecedente la costruzione, non ha ancora avviato i lavori. «È probabile che stesse aspettando la sentenza in merito al risarcimento», ipotizza il sindaco di Gosaldo, Giocondo Dalle Feste. Che si augura che prima o poi la Valle del Mis torni ad essere quel luogo selvaggio che era prima della colata di cemento.

La causa

Eva Energie Valsabbia Spa, difesa dagli avvocati Giorgio Orsoni e Maurizio Paniz, aveva citato in giudizio la Regione, la commissione Via regionale, il Parco (difeso da Livio Viel e Maurizio Visconti), il Comune di Gosaldo (avvocati Elisa Tomasella e Alfredo Bianchini) e quello di Sospirolo (difeso da Enrico Ganz) nel 2013. La società chiedeva 38.895.370,56 euro come risarcimento per il danno subito a seguito dello stop ai lavori. Deciso sì dalla Cassazione, ma Valsabbia aveva ottenuto dagli enti citati l’autorizzazione a procedere con il progetto. Era il 2009.

Nel 2010 il WWF e altre associazioni hanno fatto ricorso al Tribunale superiore delle Acque pubbliche, che l’ha rigettato. Il WWF ha impugnato la sentenza in Cassazione il 7 marzo 2012. Il 23 aprile dello stesso anno Valsabbia ha avviato i lavori per l’impianto idroelettrico. Il 23 ottobre 2012 la Cassazione ha cassato la sentenza del Tsap, dando ragione al WWF. E i lavori sono stati bloccati definitivamente.

La sentenza

Valsabbia allora ha fatto causa agli enti, perché il comportamento delle amministrazioni aveva «ingenerato in lei la convinzione che i provvedimenti rilasciati in suo favore fossero legittimi», si legge nella sentenza. Forte di questa convinzione la società ha iniziato i lavori, e averli interrotti ha provocato un danno. Quantificato in poco meno di 39 milioni di euro. Ma la richiesta è stata cassata dal giudice Giovanni Francesco Perilongo.

Valsabbia «manca di provare il nesso di causa fra la condotta delle controparti e il danno asseritamente sofferto», scrive il giudice nella sentenza. Né precisa quali condotte abbiano indotto la società, «un qualificato operatore professionale, a contare sulla stabilità dei provvedimenti autorizzatori».

«Eva Valsabbia era a conoscenza dei profili di potenziale illegittimità delle autorizzazioni e dei nulla osta emessi dalle amministrazioni», perché «era (o doveva essere) consapevole della portata del divieto di modifica del regime delle acque, previsto dalla legge 394/1991».

Inoltre la società ha avviato i lavori in Valle del Mis pur sapendo che c’era in piedi un ricorso in Cassazione: «La società si è costituita nel processo dinanzi alla Suprema Corte», dunque non poteva non sapere del rischio che stava correndo aprendo il cantiere, spiega il giudice. Per tutte queste ragioni è stata respinta la richiesta di risarcimento e Valsabbia è stata anche condannata al pagamento delle spese legali, quantificato in circa 200 mila euro. —




 

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