«I danni maggiori ci furono nel settembre del 1965»

SAN PIETRO. Tante ieri, a San Pietro di Cadore, le manifestazioni per ricordare l’alluvione del 1966. Un’immane tragedia, che testimonia però anche il coraggio e la forte reazione della gente, così...

SAN PIETRO. Tante ieri, a San Pietro di Cadore, le manifestazioni per ricordare l’alluvione del 1966. Un’immane tragedia, che testimonia però anche il coraggio e la forte reazione della gente, così duramente colpita, e la solidarietà immediata che ne seguì, con aiuti concreti da tutta Italia.

Oltre all’incontro del pomeriggio ed alla mostra fotografica, il Comune ha infatti coinvolto al mattino le scuole primaria e secondaria di Presenaio, mentre alla sera si è tenuta una solenne celebrazione nella chiesa parrocchiale officiata da Don Clorindo De Silvestro ed impreziosita dai canti del Coro Peralba diretto dal maestro Adriano De Zolt.

Al mattino, in particolare, Eugenio De Martin Pinter ha ricordato agli scolari il modo avventuroso con cui riuscì a salvarsi insieme ai fratelli ed alla nonna. «La prima alluvione nel 1965 arrivò fino al filo del muro della casa, che si salvò. Il 4 novembre 1966, invece, l’acqua salì di 15 metri, fino al secondo piano della casa, che venne riempita da sassi e fango. Ricordo che il nostro bar a Ponte Cordevole era nuovo di zecca, rinnovato per la festa della montagna che si era tenuta a fine agosto in Val Visdende. Scappammo nel bosco dove rimanemmo tre giorni completamente isolati, mangiando cortecce d’albero. Poi riuscimmo a passare la frana, io portavo mia nonna sulla schiena, affondando nella melma ed in otto ore arrivammo a Sappada. Lì ci accolsero alla osteria da Nardi. Intanto la nostra casa era stata sommersa dal fango, non più abitabile. L’attività non è mai più stata ripresa».

«I danni maggiori alla frazione di Mare - ha confermato Gian Antonio Casanova Fuga - non ci sono stati nel 1966, ma un anno prima, a settembre 1965. Proprio sotto alla nostra casa ce n’era una che era stata portata via dalle acque del Piave, che si erano fermate solo a 80 cm da casa nostra. Nel 1966 ci fu l’esondazione del Rio Rin e si allagarono le nostre cantine. Io lavoravo in Banca del Friuli a Pieve ed il lunedì successivo dovevo rientrare al lavoro. Le strade erano interrotte, al Cunettone, fra Campolongo e Santo Stefano, c’era una colata di fango alta almeno un metro e mezzo. Partii di mattina presto con una borsa ed un sacco-valigia, arrivai in qualche modo a piedi a Danta, dove mi dettero un passaggio con un furgoncino ape fino a Lozzo e poi ancora a piedi arrivai in ufficio alle tre del pomeriggio. Un’avventura in mezzo al disastro».(s.v.)

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