I fucili restano negli armadi: un flop la caccia anticipata

Poche le riserve in provincia che hanno aderito al prelievo selettivo di cervi.  Insorgono gli agricoltori: «Dicano chiaro se vogliono darci una mano»



Gli animalisti avevamo lanciato una sorta di tam tam di protesta via e-mail, ma la tanto temuta apertura in anticipo della caccia al cervo si è rivelata un flop. La stragrande maggioranza delle riserve bellunesi, infatti, non ha aderito domenica all’iniziativa concordata al Tavolo verde con gli agricoltori, preferendo rinviare tutto al primo settembre. Una scelta che ha fatto scatenare la rabbia e il rammarico delle associazioni agricole che si sono sentite “tradite”.

Le riserve di caccia

Su 66 riserve di caccia presenti in provincia, pochissime hanno dato il via libera all’uscita anticipata dei propri iscritti per prelevare cervi maschi e femmine di un anno e piccoli per limitarne l’aumento. Al Tavolo verde provinciale tutti sembravano d’accordo, ma alla resa dei conti, il 18 agosto pochi cacciatori hanno imbracciato la doppietta. Il distretto venatorio feltrino ha deciso di partire dal primo settembre, con San Gregorio nelle Alpi che posticiperà il tutto addirittura al 15 ottobre. Domenica primo settembre partiranno anche le riserve di Ponte nelle Alpi, Pieve di Cadore e Belluno. Nemmeno Cortina ha aderito all’iniziativa provinciale. In Valbelluna la maggior parte delle riserve ha rinviato l’uscita, ad eccezione di Limana: «Abbiamo voluto dare un segnale al Tavolo verde. Siamo riusciti a prendere qualche cervo e qualche cinghiale», dice il presidente Manolo Cibien. A Colle Santa Lucia, il presidente Alberto Colleselli precisa che «qualcuno è uscito, ma non ci sono stati pericoli perché il cacciatore deve abituarsi a essere poco invadente e non pericoloso per i turisti e per i residenti. Sono usciti presto e alle 7.30 erano tutti rientrati. Quindi nessuno problema».

Ma come si spiegano queste defezioni? «Vuoi per il caldo che non permette di conservare adeguatamente l’animale cacciato», dice il presidente della riserva di Pieve di Cadore Franco Da Cortà , «vuoi perché adesso in giro c’è troppa gente tra turisti e fungaioli e sparare potrebbe diventare pericoloso», aggiunge il capo di Ponte nelle Alpi Gianfranco Reolon. E Italo Pislor, della riserva di San Gregorio nelle Alpi, aggiunge: «Da noi abbiamo una scarsa popolazione di ungulati e non abbiamo problema ad adempiere al prelievo concordato entro la fine di gennaio 2020». «Comunque ce la faremo a completare il piano, anche se partiamo il primo settembre», ammettono i capi delle riserve venatorie di Lamon, Fulvio Forlin, e di Belluno, Adelchi Bortot, che aggiunge: «La caccia è stata anticipata per agevolare chi vive in quota, visto che ai primi freddi va incontro alla neve».

Gli agricoltori

«Se i cacciatori non avevano intenzione di aderire all’iniziativa, potevano dirlo al Tavolo verde», dice Michele Nenz della Coldiretti, che si dice dispiaciuto per come sono andate le cose. «Per noi agricoltori i cervi e i cinghiali sono un problema, perché creano danni pesanti ai nostri coltivi oltre che alla fauna e flora provinciale. Bastava anche solo che uscissero senza sparare, per tenere lontani gli ungulati. Le riserve ci dicano se vogliono questo accordo: noi agricoltori vogliamo che i nostri raccolti non siano distrutti». «Ormai siamo rassegnati», commenta Diego Donazzolo, presidente di Confagricoltura. «Ora stiamo recintando i campi, ma questo non basta per tenere lontani cinghiali e cervi. I cacciatori potevano darci una mano per controllare la crescita degli ungulati, ma credo che serva un po’ più di tempo perché queste iniziative facciano parte dell’agire comune. Sarebbe importante strappare al bosco nuovi prati, così la fauna selvatica si allontanerebbe dalle case».

Intanto i cinghiali, in un paio di giorni, hanno devastato oltre cinque ettari di mais piantato lungo l’asta del Piave ma anche lungo il Cordevole. —


 

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