I funerali al santuario di Santa Maria delle Grazie del parroco morto in canonica
ROCCA PIETORE
«Una voce amica e alternativa» che aveva scelto cinque parole per descrivere il suo cammino spirituale: «eccomi, credo, amen, sì, ti aspetto». Nel piazzale antistante il santuario di Santa Maria delle Grazie, il ricordo che il vescovo monsignor Renato Marangoni prima e il vicario generale della diocesi, don Graziano Dalla Caneva poi, hanno fatto ieri pomeriggio di don Gabriele Bernardi, parroco di Colle Santa Lucia, Selva e Pescul, arriva nitido al cuore dei tanti presenti.
Dei tanti (compresi i numerosi sacerdoti e i sindaci) che hanno avuto modo di conoscere il prete nato il 2 ottobre 1948 a Loria (diocesi di Treviso) e morto improvvisamente domenica sera nella canonica di Selva di Cadore.
«Al tramonto del giorno in cui aveva celebrato la Pentecoste», ha detto il vescovo, «don Gabriele ha definitivamente cercato il volto di Gesù, il risorto». Lo ha fatto dopo una vita in cui si era speso per farlo trovare a quanti hanno avuto la fortuna di entrare in rapporto con lui nelle tante comunità che ha servito dal 1975 in poi, compresa Gerusalemme, «una struggente nostalgia».
A quanti, usando le parole del vescovo, possono «raccontare una guarigione e una cura ricevuti da don Gabriele con abbondanza di sapienza spirituale, con introspezione acuta, a volte con energica contrapposizione verso le finzioni di bene che intravedeva». Fra questi anche i suoi famigliari che ieri hanno ringraziato coloro che, in questi anni, non hanno mai lasciato solo il loro caro. Il vescovo ha insistito sul significato della Pentecoste per descrivere la ricca personalità di don Gabriele: una «provocante predicazione» la sua, una «voce amica e alternativa», una persona dotata di «calda e fremente umanità».
«Ovunque egli sia passato», ha continuato, « ha donato le lingue di fuoco dello Spirito, ha contribuito ad aprire nuove manifestazioni della Pentecoste, ha portato consolazione. Di quante paure si è preso cura, additando in un chiaro contrappunto il Cristo risorto? ».
«Generosità e dedizione» che si esprimevano anche in gesti concreti come la colomba donata ai parrocchiani in occasione dell’ultima Pasqua e le rose per la festa della mamma. Ma pure all’interno del clero. «Oggi ci sentiamo tanto impoveriti», ha detto don Graziano Dalla Caneva, «perché don Gabriele era presenza significativa, spesso profetica, con un’acuta, intelligente capacità di analisi e di proposte anche provocatorie che arricchivano e stimolavano il confronto e la riflessione tra noi preti».
Monsignor Marangoni si è quindi soffermato sul ruolo svolto per 12 anni da don Gabriele nella custodia della basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme, citando le parole del vescovo Pierbattista Pizzaballa a nome della Chiesa di Gerusalemme. «Don Gabriele – le parole arrivate dalla Palestina ieri mattina – per molti anni è stato un riferimento importante non solo per i pellegrini, ma per i religiosi e le religiose, i fedeli cristiani e non che trovavano in lui un riferimento spirituale importante. Ancora recentemente, nonostante la distanza, era vicino a tanti. Chiamava e curava molte relazioni con la sua Gerusalemme».
«Quando venerdì l’ho incontrato», ha concluso il vescovo, «anche per avere un consiglio da lui che prima destrutturava le certezze su cui non confidare e poi ti dava la sapienza del cuore, mi ha versato il caffè: ha riempito la mia tazzina, la sua solo a metà. Era così: lui ti riempiva dentro e riservava per sé la parte più piccola». —
Gianni Santomaso. © RIPRODUZIONE RISERVATA .
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