I furbetti dei sussidi nel mirino dei sindaci: «Non ci fregano più»
L’obiettivo è mettere in rete i dati anagrafici della provincia e inserire un periodo minimo di residenza per avere gli aiuti
PD 15 aprile 2006 G.M...Spesa facile. ..(COMELLO) Spesa facile. (COMELLO)
BELLUNO. «Basta, non ci facciamo più fregare». I sindaci bellunesi non ci stanno. L’allarme lanciato attraverso il documento per l’armonizzazione dei Piani di zona delle due vecchie Usl non vuole restare lettera morta. Nel mirino una nuova “professione”, quella dei “cacciatori di sussidi”. Soprattutto stranieri.
Tante le soluzioni all’orizzonte. La prima prevede la messa in rete delle anagrafi comunali per identificare immediatamente, con un breve confronto, quali sono i “furbetti dei sussidi”, coloro che, una volta che non ricevono più aiuti da un ente locale, spostano la residenza in un altro comune per ricominciare con le domande di tipo meramente assistenzialistico. «Sappiamo che il fenomeno è diffuso maggiormente nei comuni più grandi, come può essere nostro capoluogo», precisa il sindaco di Belluno, Jacopo Massaro. «Si sa che più grandi sono le realtà territoriali, maggiori sono i servizi sociali offerti: dal pagamento della bolletta al canone d’affitto, dal vitto all’alloggio. Ma non possiamo farci carico di chi non ha realmente bisogno e si presenta a chiedere un sostegno per “professione”. Gli enti locali non hanno soldi da sprecare, visti i tagli ai trasferimenti subiti negli anni dal governo. Per questo motivo, come amministrazione comunale, abbiamo deciso di dare un giro di vite ai “furbi” e lo abbiamo fatto introducendo i cosiddetti piani personalizzati».
Si tratta di piani che propongono ai cittadini in difficoltà un percorso per trovare un lavoro e una casa, in modo da poter tornare a muoversi in autonomia. «Il Comune paga solo se il cittadino aderisce a questo progetto di riqualificazione: se vediamo che la persona non accetta queste condizioni oppure non gestisce in maniera oculata i soldi che guadagna, allora il servizio sociale viene subito tolto».
Questa è una soluzione, ma ce ne sono altre che si sono dimostrare efficaci. A cominciare dal chiedere, nei vari bandi sociali che distribuiscono fondi, un periodo minimo di residenza. È l’esempio di Calalzo, col sindaco Luca De Carlo che , sfidando le critiche, ha dato un giro di vite «ai malcostumi di certe persone che non avevano alcun legame col territorio, ma che si spostavano da una zona all’altra alla ricerca di sussidi. Quando ho iniziato ad amministrare Calalzo», spiega, «ho cercato di eliminare queste situazioni, introducendo un periodo minimo di residenza, cinque anni, per poter accedere ai servizi. E questo è servito per fare una cernita tra chi è realmente in difficoltà e chi non lo è, tanto che ora non ho nemmeno più bisogno di mettere questo limite nei bandi perché i residenti lo conoscono già. Ma c’è di più: aparità di Isee, viene data priorità a chi si dimostra attivo nella comunità. Basta coi furbetti, aiutiamo solo che è in crisi ma cerca di darsi da fare».
Paola Dall’Anese
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