«I lupi sono meno gestibili degli orsi, recinti e cani non bastano»
I lupi? «Peggio, molto peggio degli orsi. Non sono affatto gestibili». Lo testimonia Antonio Untersteinr, 53 anni, pastore da quando ne aveva 13. Percorre a piedi seimila km l’anno. Va a casa, dalle parti di Brunico, solo quindici giorni in agosto. Vive in casera, quando gli va bene, altrimenti in un furgone. L’abbiamo incontrato al passo Giau. Sfinito. «Mi sto chiedendo», racconta, «se vale la pena fare ancora questa vita». Guarda soddisfatto le sue 1400 pecore radunate in una piccola conca per essere tosate da mano esperta. Alcune se ne stanno all’interno di un recinto, alto un metro e 20 cm. All’esterno c’è una seconda recinzione.
«Questi recinti costano, nessuno me li ha pagati, non ho ricevuto neppure un contributo. Servono? Direi proprio di no», spiega. «Intanto perché in gran parte della montagna ci sono dislivelli tali che non possiamo fissarli. E poi perché i lupi e gli orsi, quando fanno due o tre giri intorno per capire dove saltare o sfondare, trovano le pecore che, spaventate, sono loro stessa a fare pressione per uscire. Una breccia e la cena è servita».
Antonio dice di non avere nessuna remora rispetto all’unica prospettiva che oggi c’è: cacciarli. «Io amo gli animali, do la vita per queste pecore. E proprio per questo mi ribello al fatto che i lupi non solo le uccidono, ma anche le maltrattino. Qui i lupi non c’erano, sono stati portati e distribuiti sul territorio: un branco sul Grappa, un branco sul Nevegal, un altro in valle di Livinallongo». Quindi? «O li catturiamo e li portiamo in qualche parco dove non fanno danni, oppure dobbiamo ucciderli. I danni che provocano questi animali sono davvero inimmaginabili. Le pecore, le capre, le manze, sono tutte stressate. Non vanno più in calore. Di notte stanno in piedi, anziché riposare, per la paura. Di giorno non mangiano. La sera è sempre più difficile recintarle».
Sono una meraviglia i cani che accompagnano Untersteiner. Un fischio, due fischi, a volte tre e loro capiscono il comando. Vigilano sulle pecore perché non vadano in strada. Le riportano sul percorso sicuro, se rischiano di cadere in un avvallamento. «Costano, questi cani. E costa addestrarli. Ma contro i lupi non hanno alcuna resistenza. Finiscono anche loro azzannati. I lupi fanno paura perché sembrano drogati quando vedono il sangue».
Il pastore trascorre l’estate sui pascoli di Mondeval, dove ha una casera, poi sul finire dell’estate riparte verso la bassa provincia, attraversa il Piave e sale per il passo San Boldo. L’inverno lo fa trascorre in vallata, sopra Vittorio Veneto, sulla bassa pedemontana del Cansiglio e sulla pianura Friulana, verso il Tagliamento. «E questa è un’altra zona di stress. È stato individuato un branco con dei cuccioli».
Antonio si fa aiutare da un altro pastore. Ammette che per vegliare ci sarebbe bisogno di un terzo collega, magari giovane. «Ma non posso permettermi di pagarlo profumatamente come sarebbe suo diritto. Quindi noi due dobbiamo arrangiarci. Di giorno fatichiamo, di notte avremmo l’esigenza di dormire. E il tardo pomeriggio, quassù, è un dramma, perché quando c’è il temporale, quasi ogni sera, il gregge s’irrigidisce, fermandosi dove si trova. Da lì non lo schioda nessuno. Recintarlo è impossibile. E allora devi fare da sentinella, vegliare, sempre con la paura. Quasi rimpiango l’orso, che ci ha fatto da compagnia una settimana». Aiuti? «Nessuno». —
Francesco Dal Mas
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi