«I nostri corsi d’acqua stanno morendo»
BELLUNO. Il bacino del Piave è sfruttato per il 90 per cento. Sono almeno un centinaio gli impianti idroelettrici costruiti lungo fiumi e torrenti bellunesi, ma ci sono altre 150 domande che attendono una risposta. Andrebbero a sfruttare la pochissima acqua rimasta negli alvei e a riempire le tasche dei concessionari, che grazie al sistema degli incentivi guadagnano cifre considerevoli vendendo l’energia prodotta dalle turbine.
A presentare il quadro della situazione, ieri sera in una sala Bianchi gremita, sono state le associazioni Acqua bene comune, Wwf terre del Piave, Italia nostra e il comitato Peraltrestrade, che hanno prodotto un dossier sulle centraline. I piccoli impianti, quelli sotto il megaWatt di potenza. Che «incidono pochissimo nel bilancio energetico nazionale, ma creano danni irreparabili all’ambiente», ha evidenziato Piero Sommavilla nella sua analisi.
Il deflusso minimo vitale, quella quantità di acqua che ogni impianto è costretto a rilasciare per rispettare la legge, non è sufficiente a garantire il rispetto dell’ecosistema del corpo idrico: «Per la maggior parte dell’anno nell’alveo scorre il 10-20% della portata media del corso d’acqua», ha spiegato Giovanna Deppi di Peraltrestrade. «E i nostri fiumi e torrenti si stanno desertificando».
La Deppi ha anche ricostruito la storia dello sfruttamento idroelettrico in provincia: dai grandi impianti realizzati dalla Sade nella prima metà del Novecento si è passati al secondo boom, dopo il 2009. È proprio questo l’anno che fa da spartiacque nell’assalto all’oro blu, perché è nel 2009 che viene emanata la legge sugli incentivi. E sono gli incentivi a rendere remunerativi gli impianti sotto il megaWatt di potenza: «Grazie a questo meccanismo l’energia viene venduta al triplo del suo valore di mercato», ha ricordato Sommavilla. «E il loro costo viene interamente recuperato in bolletta, sotto la componente A3». Sono gli utenti a pagarli. Nel 2015 gli incentivi emessi sono stati pari a 1,2 miliardi di euro. E le concessioni hanno una durata di 20 anni.
Ad avere concretizzato quello che anche ieri sera è stato definito «un assalto ai nostri corsi d’acqua» sono vari attori: le società private, ma anche i Comuni, che attraverso Bim Infrastrutture ricavano dalle centraline in mano pubblica risorse preziose per i bilanci. E l’attacco delle associazioni ambientaliste è stato anche nei loro confronti: sotto esame c’è tutta la politica, da quella nazionale che non elimina (e anzi rilancia) gli incentivi, a quella regionale che pur avendo cambiato alcune regole «non le applica alle domande già presentate» (si vorrebbe la retroattività della legge) a quella locale, che «dopo aver votato un documento per fermare l’assalto ai corsi d’acqua, ha approvato il piano industriale di Bim Infrastrutture che prevede la costruzione di nuovi impianti».
Nel dossier ci sono i numeri dello sfruttamento idroelettrico in provincia, la storia, i nomi degli attori. Si raccontano i casi eclatanti, come quello della centrale in Valle del Mis. Si esaminano i bilanci di alcune società, dai quali emerge come gli utili netti dalla gestione delle centraline siano elevatissimi. Si getta luce sulle procedure, quelle seguite fino alla fine del 2015 perché dal 1° gennaio di quest’anno la competenza è stata trasferita in toto alla Provincia. Un utile compendio per capire com’è nato, come si è sviluppato e dove rischia di condurre lo sfruttamento idroelettrico dei fiumi bellunesi.
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