I piercing piacciono di più alle ragazze «Chi si tatua è portato alle emozioni forti»

Lo studio
I ragazzi amano i tatuaggi, le ragazze sono più propense a farsi i piercing (orecchie, naso, ombelico). In più c’è un dato che pesa, ma che ancora non si riesce a decifrare: il 20% di chi decide di far parlare il proprio corpo vive in una famiglia dove c’è solo la madre. Lo Iusve (Istituto universitario salesiano di Venezia) della Gazzera, assieme all’associazione Metabolè, ha organizzato il convegno su “Il corpo decorato: tatuaggi e piercing”, per scandagliare la cosiddetta “body modification”, ovvero quelle pratiche finalizzate ad alterare il corpo che negli ultimi tre decenni sono state reintegrate nella cultura dominante, grazie al mondo dello spettacolo.
Nell’ambito della giornata di studio sono stati presentati i dati di una ricerca in corso che dura da tre anni. In esame un campione di 1.274 soggetti, di età compresa tra i 14 e i 20 anni, provenienti da sei scuole del territorio (Mestre, Mirano, Mogliano, Belluno e Portogruaro). Nello specifico dall’Istituto salesiano San Marco, dal Liceo classico Franchetti, dal Majorana, dal collegio Astori, dal Calvi e dal Marco Belli. Il risultato della ricerca ha evidenziato che su 1.274 studenti, 78 sono tatuati, vale a dire il 6,1 per cento. «Un numero basso», spiega Marco Zuin, docente a contratto che si occupa di statistica e test psicologi. «Bisogna però considerare che sono ragazzi tra i 14 e i 20 anni, molti dei quali minorenni». Della torta complessiva 204 hanno un piercing e di questi ben 139 sono di sesso femminile. «Abbiamo inoltre notato, rispetto ai ragazzi, che i soggetti tatuati sono più portati per le emozioni forti». Prosegue: «Un dato che sarà oggetto di approfondimento riguarda la componente del nucleo famigliare, vivere o meno con la sola madre ha una rilevanza nelle modificazioni corporee, certo dobbiamo ancora capire in che termini».
Forte la componente della familiarità. «Il 20 per cento dei tatuati vive solo con la mamma, mentre tra i non tatuati la percentuale scende drasticamente e questo per noi è una evidenza empirica», conferma Mario Bolzan (Dipartimento scienze statistiche Università di Padova e docente Iusve). Prosegue: «I genitori dei ragazzi non tatuati sono per il 20 per cento laureati, mentre tra i tatuati la percentuale scende al 10 per cento. Infine il 44 per cento di chi disegna il proprio corpo ha tatuati in famiglia, il che richiama l’effetto branco e ci dice che chi ha tatuaggi è un soggetto con un’identità famigliare distinta e che non sono irrilevanti lo status sociale e l’ambito culturale».
L’associazione Metabolè, ha poi preso un campione di 20 persone, metà uomini e metà donne, tra i 20 e i 40 anni, per attivare un’indagine qualitativo fenomenologica e capire perché ci si tatua. «Quello che è emerso» spiega Stefania Bragato di Metabolè, «è che le motivazioni che portano a tatuarsi non sono legate all’idea del gruppo, dell’iniziazione o di un’appartenenza, questo è un pregiudizio da sfatare. Tatuarsi è una scelta privata: a volte avviene dopo una crisi o una guarigione di un familiare, appartiene all’ambito del mondo psichico e della sfera emotiva e rappresenta un passaggio o una fase della vita che si vuole rendere indelebile».
«I tatuaggi» chiarisce Letizia Salvalaio, ricercatrice Iusve «rappresentano il desiderio di libertà, un obiettivo da raggiungere. Gli stili più richiesti sono il realistico (iper dettagliato), l’ornamentale (decorazioni in bianco e nero con fiori o mandala) e old school (assenza di dettagli)». —
Marta Artico
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