I seminaristi di Belluno trasferiti a Trento

Chiude il seminario, verso una Chiesa delle terre alte. Quella del vescovo è ritenuta una scelta indovinata

BELLUNO. «La Chiesa, come dice papa Francesco, deve costruire ponti, non muri. E un ponte coraggioso è proprio questo». Così Cesare Lasen, feltrino, coordinatore della Commissione diocesana per la custodia del creato e l'educazione a nuovi stili di vita, commenta la prima scelta decisamente importante del vescovo. Mons. Renato Marangoni, d'accordo peraltro con la maggioranza dei suoi preti, ha deciso di inviare in formazione a Trento i 4 seminaristi che studiavano a Belluno.

Il seminario chiude. La chiusura del seminario, contestuale al suo rilancio come polo educativo e culturale, non è una novità; era già stata presa in considerazione anche da mons. Giuseppe Andrich. L'intuizione di scegliere il seminario di Trento come luogo di maturazione della vocazione di questi ragazzi, anziché quello di Vittorio Veneto o Treviso, va nella prospettiva non di una formazione qualsiasi, a prescindere dal contesto, ma della preparazione di preti per una Chiesa delle terre alte.

Chiesa delle terre alte. «Una Chiesa che non è diversa da quelle della pianura o delle grandi città - mette subito le mani avanti don Lorenzo Sperti, del consiglio presbiterale - ma con caratteristiche proprie. Si pensi ai grandi temi dello spopolamento, dell'abbandono del territorio, dei servizi che gradualmente vengono a mancare e di una Chiesa che, per contro, quel territorio rimane a presidiare perché è carne della sua carne».

Intuizione anticipatrice della politica. A Trento fa riferimento anche la diocesi di Bolzano per i suoi seminaristi di lingua italiana. Per Lasen, quella di mons. Marangoni è un'intuizione che addirittura anticipa la politica, posizionata in discussioni spesso arretrate, incapace - come aveva annotato lo stesso vescovo in una recente intervista al Corriere delle Alpi - di creatività verso il futuro. «È la Chiesa delle terre alte che ha sì una sua specificità - spiega Loris Serafini, direttore della Fondazione Luciani a Canale d'Agordo e archivista a Cortina d'Ampezzo, oltre che organista della basilica -, ma che deve saper trovare anche una sua omogeneità: di presenza pastorale, di articolazione (con attenzione anche alle più piccole comunità) per un annuncio puntuale del Vangelo a chi presidia il territorio». Una Chiesa, peraltro, che non nasce da zero, considerando che la pastorale di custodia del creato - come ricorda Lasen - è portata avanti da queste diocesi, e da altre ancora della montagna ormai da anni, celebrando insieme la «giornata del creato» il primo settembre.

Voci favorevoli. Mons. Giorgio Lise, arcidiacono di Agordo, è stato insegnante di diritto canonico in seminario. «La formazione seminaristica, e quindi al sacerdozio, non può prescindere dal confronto quotidiano con la comunità, non basta quello con se stessi. E la scelta di Trento è indovinata - sottolinea il sacerdote - tenendo conto delle opportunità che il capoluogo trentino offre con la sua università, frequentata da un gran numero di studenti bellunesi. E siccome don Renato, il nostro vescovo, si pone il problema della formazione di questi studenti, oltre che dei seminaristi, ecco che la nuova opportunità si evidenzia in tutto il suo spessore profetico».

"Odore di pecora". Aldo Bertelle, direttore della Comunità Villa San Francesco di Facen - che tante accoglie ragazzi in difficoltà dalla montagna, chiamati poi a rientrare nei loro luoghi di origine - rilancia un'espressione tanto cara a Papa Francesco. «Nessuno si dimentica di quella raccomandazione di Francesco ai preti affinchè odorino di pecora. Bene, questo odore, che io trasformerei nella parola 'profumo', si percepisce soprattutto nelle terre alte, dove la fatica della missione è più pesante». Perché, spiega Bertelle, troppo spesso ci si trova a dover fare i conti con la solitudine, con lo spaesamento, con la distanza dal centro e dai centri di riferimento, e, al tempo stesso, con la necessaria ricerca della pecora smarrita. «Essere il prete di montagna esige una preparazione, umana e specificatamente di pensiero, che in realtà le terre alte potrebbero favorire, per arricchire il bene plurale senza confini». Anche Bertelle, in questa prospettiva, sottolinea quanto strategica possa diventare la vicinanza con un'università come quella di Trento, segnata dalla sfida sociologica. Don Sperti, mentre da una parte accende i riflettori sul seminario che, come ha detto il vescovo, non verrà chiuso, ma rilanciato per diventare uno dei laboratori culturali della diocesi, dall'altra invita la politica e in particolare l'amministrazione pubblica a cogliere il senso profetico di questa prima opzione di "don Renato".

Nel nome dell'unione. «Con Trento e Bolzano ci dividono ancora molte situazioni, ma è il caso di cogliere ciò che ci unisce, le opportunità che insieme possiamo far crescere affinché il popolo della montagna, seppur nel rispetto delle sue specifiche identità, trovi la ragione dello stare insieme». E insieme quella di sfidare le avversità. «In questa prospettiva culturale, da componente della Fondazione Dolomiti Unesco, che comprende addirittura 5 province, trovo semplicemente straordinario - conclude Lasen - che la Chiesa faccia una scelta di campo che va nella stessa direzione e in un settore delicato come quello della formazione dei suoi preti».

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