I sindacati bellunesi temono la chiusura della Safilo a Longarone

LONGARONE
«Se l’idea è quella di svuotare pian piano, da qui al 2024, lo stabilimento di Safilo per portare fuori la produzione, non la possiamo accettare». C’è grande preoccupazione tra i sindacati di categoria per l’annuncio del business plan fatto l’altro ieri dall’amministratore delegato di Safilo. E anche se cercano di mascherare l’ansia, è evidente che questa volta il colpo assestato è davvero duro, da lasciare tramortiti.
La cosa che spaventa di più è non sapere con precisione quale sia lo scopo finale di un piano di lacrime e sangue, anche se un’idea si fa avanti: quella di una futura chiusura dello stabilimento longaronese.
Lo sciopero
Intanto domani è previsto lo sciopero generale di otto ore di tutti i lavoratori del gruppo con presidio e picchetto davanti ai cancelli della fabbrica longaronese. «Non lasceremo entrare nessuno», dice Denise Casanova, segretaria della Filctem Cgil che annuncia: «La Regione è stata coinvolta e interesseremo anche il ministero dello Sviluppo economico perché non possiamo permettere che un altro pezzo dell’industria italiana se ne vada».
I fatti
«La presentazione da parte dell’ad è durata otto minuti», prosegue Casanova. «Ci hanno parlato della mancanza di volumi e della chiusura dello stabilimento di Martignacco, del dimezzamento di personale a Longarone. Se mi svuoti di lavoratori la fabbrica, automaticamente perde di significato l’esistenza stessa della fabbrica. E poi il fatto che la sede di Santa Maria di Sala non venga interessata dai tagli produce una divisione nel mondo del lavoro. L’impressione», prosegue Casanova, «è che non ci sia dietro questo piano una strategia. Abbiamo chiesto all’ad e al consiglio di amministrazione che cosa intendono fare, ma non ci è stata data risposta». Il quadro che emerge è di una Safilo senza produzioni in Italia. «Se pensano che accettiamo che Longarone diventi una semplice sede commerciale, si sbagliano», sbotta Casanova arrabbiata.
E poi aggiunge: «Abbiamo chiesto chi farà il lavoro che fa oggi Safilo e ci è stato risposto che lo farà qualche altro, sottintendendo i competitor che stanno al di là della strada (vale a dire Marcolin e Thelios, ndr), offendendo così i lavoratori che hanno dato molto a questa azienda. Servono strategie sul Made in Italy», conclude la segretaria della Filctem.
Il futuro
«L’azienda ci ha detto che intende produrre il 50% in Italia e il 50% all’estero», aggiunte Rosario Martines, segretario della Uiltec Uil all’uscita dalle assemblee sindacali. «Pensiamo che fino a due anni fa in questo stabilimento c’erano 1.300 dipendenti, ora sono 900, poi secondo il business plan diventeranno 500. Riducendo pian piano il numero, l’impatto sul tessuto sociale diventa minore», dice il sindacalista lasciando intendere che a forza di tagli alla fine la fabbrica rimarrà senza nessuno. «Il famoso prodotto made in Italy se chiudono qui dove lo andranno a fare?», si domanda Martines che evidenzia come il susseguirsi in pochi anni di tanti amministratori delegati porti ad una mancanza di strutturalità dei piani industriali. «Quando senti un’azienda dire che non vuole robotizzare per non aumentare gli esuberi, quando invece Luxottica lo ha fatto aumentando le assunzioni di 1.251 unità, c’è qualcosa che non va», conclude il capo della Uiltec.
Vuole essere più positivo Nicola Brancher che guida la Femca Cisl. «Anni fa non si è investito come si doveva e da allora l’azienda è in continua rincorsa, anche se ha sempre provato a stare sul mercato, poi è arrivata la mazzata di Lvmh. Ora sono due le operazioni da fare: da un lato rendere appetibile questo sito per le competenze che esprime e produrre qui, e dall’altro avviare una discussione feroce col ministero perché i 400 esuberi vengano rivisti e si dia una continuità produttiva da qui ai prossimi 30 anni a questo sito. Infine serve avviare una discussione vera sul Made in Italy. Se ognuno dei soggetti interessati farà la sua parte potremmo uscirne», conclude Brancher. —
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