I vini di Brugnera Muraro uniscono quattro fratelli

Francesca Valente
SANTA GIUSTINA
Dietro l’etichetta dei due vini dell’azienda agricola Brugnera Muraro non ci sono due, né tre, ma ben quattro fratelli santagiustinesi che sei anni fa hanno deciso di mettersi in società per ridare linfa ai terreni di famiglia e ripercorrere le orme dei nonni, che oltre a gestire il locale albergo Muraro distribuivano vino in tutte le zone del Bellunese. Un’aspirazione raggiunta anche in queste settimane di gestione dell’emergenza da nuovo Coronavirus, quando l’unico fratello maschio, il 32enne Alberto, è andato a fare consegne di cartoni di bottiglie anche a Cencenighe, nell'alto Agordino, questo in attesa che bar, ristoranti, enoteche e osterie potessero riaprire.
Ci racconta la storia di questa azienda a conduzione ampiamente familiare Laura, la secondogenita di 37 anni, laureata in biotecnologie mediche e con il sogno di frequentare la scuola di enologia di Conegliano, rimandato a quando i suoi due figli saranno più grandi e gli impegni di insegnante all’istituto Canossiano di Feltre meno pressanti.
Ci parli un po’ dei suoi fratelli.
«Elena è la più grande, ha 40 anni ed è l’unica a vivere fuori Santa Giustina, anche se fa la pendolare tutti i fine settimana per poter essere qui a lavorare nell’azienda. È laureata in pubbliche relazioni, vive a Treviso e lavora per un’azienda vinicola di Pieve di Soligo, fa la sommelier e ha sempre avuto la passione per questo ramo. Alberto è il più appassionato al lavoro agricolo ed è stato quello che assieme ad Elena ci ha buttato l’amo. Lui si occupa della lavorazione nei vigneti e lo può fare grazie a un lavoro part time. Maria è la più piccola, ha 28 anni, è laureata in scienze politiche e lavora per la società Ondablu».
Come vi dividete il lavoro?
«Fino ad ora il grosso lo hanno fatto Alberto sui campi ed Elena nella parte commerciale e marketing, perché la produzione di questi tre anni di vinificazione è stata tutto sommato contenuta: parliamo di 7 mila bottiglie di Pinot grigio derivanti da circa 80 quintali di uve raccolte a mano e di 2 mila bottiglie di Bianco derivanti da una trentina di quintali. Ora che sta diventando più complesso, anche perché dovremo ultimare presto la piantumazione su un nuovo appezzamento qui a Santa Giustina di barbatelle di Pinot nero arrivando a coltivare in tutto circa 3 ettari, che si trovano in parte anche a San Gregorio nelle Alpi. Io mi aggiungerò presto nella parte amministrativa mentre Maria si occuperà più del sito, assieme all’aggiornamento dei nostri account Facebook e Instagram».
Com’è lavorare tra fratelli?
«Ci sono discussioni come in tutte le famiglie e in tutti i rapporti societari, questo perché abbiamo caratteri diversi e tra di noi c’è chi insiste e chi media, ma non siamo mai arrivati a litigare. Questo perché veniamo da una famiglia molto unita, fattore che ci ha sempre permesso di aiutarci nel momento del bisogno. Avere terreni di proprietà a disposizione per valorizzare attraverso di loro anche il nostro territorio ci ha dato un’ulteriore spinta a unirci e lavorare per uno scopo comune, al quale contribuisce anche mio papà, che ogni volta che può dà una mano a mio fratello. Cerchiamo di evitare il ricorso alla chimica per proteggere il terreno e garantire la qualità dei nostri vini. Per dire, fino a poco tempo fa il diserbo era manuale perché mia sorella Elena si era sempre opposta al ricorso a diserbanti. Ora però ci siamo attrezzati con una macchina apposita, per la gioia di mio fratello».
Che tipo di vini proponete?
«Un Pinot grigio e un Bianco Doc, due prodotti ormai avviati che riusciamo a vendere grazie all’enoteca Elisir di Santa Giustina, che è un po’ il nostro punto vendita visto che qui in azienda ancora non ce l’abbiamo. Alla fine dello scorso anno abbiamo anche iniziato una collaborazione con il distributore “Proposta vini” di Rovereto, il che ci ha permesso di essere segnalati come una delle dieci piccole realtà più interessanti del loro catalogo. L’anno scorso inoltre abbiamo vendemmiato per la prima volta il Nero, in lavorazione con il metodo classico. Si tratta di vigne ancora giovani, per questo abbiamo scelto di vinificare solo una piccola aliquota come esperimento, per capire come migliorare».
Qualche idea su come sviluppare l’azienda in futuro?
«A parte l’accrescimento della produzione di Nero ci piacerebbe costruire un nostro punto vendita dove poter accogliere i visitatori per fare delle degustazioni e degli incontri di approfondimento sul vino, le sue qualità e le sue proprietà. Tempo fa abbiamo organizzato una vendemmia solidale con l’associazione Aipd per le persone con sindrome di Down, un’iniziativa molto bella che ci piacerebbe replicare, non appena sarà di nuovo possibile». —
Riproduzione riservata © Corriere delle Alpi