Il biologico salva il latte di capra degli allevamenti delle Dolomiti
BELLUNO. Il biologico salva il latte di capra bellunese. . Mentre in Sardegna i produttori di latte sono in guerra per l’abbassamento del prezzo del latte ovino e caprino, in provincia di Belluno la situazione è più rosea. Probabilmente la scelta di puntare su un prodotto di nicchia come il latte biologico è stata vincente. «Considerando i sistemi di qualità che applichiamo a questo prodotto, simili a quelli per il latte bovino, il suo prezzo supera l’euro», dice il direttore di Lattebusche, Antonio Bortoli il quale precisa che alla cooperativa conferiscono circa una quindicina di allevatori del territorio visto che gli ovini e i caprini, in realtà, non sono troppo diffusi nel Bellunese. «In totale, quindi, ci arrivano 5 mila quintali all’anno di latte di capra».
«Il mercato dei prodotti caprini non sta andando male per quanto ci riguarda», sottolinea anche Fabrizio Bez, direttore della Cia di Belluno. «Certo i quantitativi rispetto a quelli bovini sono limitati. La capra resta comunque un animale il cui numero va calmierato per contenere anche la produzione di latte e poter tenere il prezzo sempre a certi livelli».
In generale la situazione dei prodotti lattiero-caseari in provincia sta conoscendo un leggero miglioramento. «Per quanto riguarda il latte di mucca, stiamo pagando come acconto circa 0,40 euro al litro», prosegue Bortoli. «Il 2018 è stato un anno molto pesante per gli agricoltori, soprattutto nella prima parte. Adesso, per fortuna possiamo godere di una congiuntura favorevole dovuta alla bolla positiva del Grana padano che sta trascinando anche il prezzo del latte. Quindi le previsioni, ad oggi, per quest’anno, sono buone. Credo che gli agricoltori potranno tirare una boccata di ossigeno».
La pensa allo stesso modo anche il presidente di Confagricoltura, Diego Donazzolo. «Sulla vendita e sul prezzo del latte bovino c’è stata una leggera ripresa che non fa male, dopo la batosta dello scorso anno. Ed era la seconda nel giro di pochi anni, che ha messo in grave difficoltà i produttori. Ma la montagna, a dire la verità, in tutta questa situazione sta tenendo, per fortuna, malgrado tutto. Purtroppo», conclude Donazzolo, «i nostri politici non hanno espresso ancora progetti e idee che guardino a lungo termine, ma agiscono sempre su spazi temporali di qualche mese. E questo non fa bene al comparto».
A chiedere interventi di supporto per l’agricoltura montana e per l’allevamento è anche il direttore della Cia. «Per la montagna servono politiche ad hoc, perché qui i costi sono più alti che in pianura. Servono finanziamenti per supportare le iniziative dei tanti giovani che stanno riscoprendo questo settore». Bez non nasconde che la situazione complessiva resta ancora dura in provincia. «Per una stalla media di 50-60 capi, le oscillazioni del prezzo che abbiamo subito negli ultimi anni, hanno fatto perdere anche fino a 50 mila euro di entrate. Speriamo di aver buttato alle spalle le varie crisi del comparto e di poter riprendere, così, la corsa positiva perché le imprese agricole sono in carenza di liquidità e le banche faticano a dare prestiti», dice il direttore della Cia che conclude: «Credo sia necessario, se vogliamo sopravvivere, iniziare a spingere sul nostro marchio, sui nostri prodotti dolomitici, investendo sul marketing. Il che significa non solo promuovere i nostri prodotti, ma far conoscere il territorio e quanto c’è dietro ad ogni formaggio o ad ogni prodotto. Dobbiamo essere più presenti sui mercati. Dobbiamo noi per primi far circolare i nostri prodotti». —
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